
di Annamaria Tassone
Non posso non condividere con chi leggerà questa nota l’emozione e la gioia provata Il 7 settembre scorso seguendo la cerimonia di canonizzazione del torinese Piergiorgio Frassati. L’evento in sé, cioè il fatto che un giovane ricco di doni di natura, di intelligenza, di posizione sociale avesse vissuto collocando al primo posto nella scala dei valori della sua vita l’unione con Dio fino a raggiungere il grado della santità è un fatto eccezionale sempre, ma tanto più lo è stato nel periodo inizio secolo scorso in cui il laicismo incominciava a prendere il sopravvento fino a produrre , come purtroppo stiamo constatando una gioventù assai poco propensa a volgere- lo sguardo al mondo dello spirito e ad assumere quelli che sono gli atteggiamenti che più avvicinano a Dio: la preghiera e la carità verso il prossimo. Per Piergiorgio, invece, la frequenza ai Sacramenti era prassi abituale così come lo erano le visite alle famiglie povere nelle soffitte dove giungeva con tutto ciò che reperiva di utile per nutrire e abbigliare quelle persone. E proprio in questi ambienti non certo asettici fu contagiato dal virus che allora non si debellava come oggi, cioè da una forma fulminante di poliomielite che lo portò alla tomba.
Voglio condividere la mia emozione intensa per questo nuovo santo torinese perché in un certo senso ha sfiorato anche la mia vita ed ecco come: egli aveva una grande passione per la montagna e con un gruppo di amici aveva organizzato una associazione chiamata scherzosamente “La compagnia dei tipi loschi”. Di questo gruppo di amici faceva parte mio padre che aveva in comune con Piergiorgio l’età (nati entrambi nel 1901) e l’essere iscritti al Politenico. La mira di questo gruppo di giovani era vivere intensamente la natura, privilegiando le gite sulle nostre Alpi. Il loro amore per la montagna veniva così espresso: ”Sulle vette ci si sente più vicino a Dio!”.