di Paolo Trianni

Teilhard de Chardin è stato un precursore della moderna teologia delle religioni e del dialogo interreligioso contemporaneo. Fino ad alcuni anni fa questa dimensione dell’eclettico teologo e scienziato francese era poco nota, ma negli ultimi anni svariati studi hanno messo in rilievo quanto la sua riflessione sia stata rilevante ed incisiva anche in questo ambito[1]. Tali saggi, del resto, devono essere letti nell’ottica del contributo indiretto da lui apportato al Concilio Vaticano II e ai suoi due documenti rispettivamente dedicati al pluralismo religioso e alla libertà religiosa[2]. Ai testi menzionati, inoltre, dovremmo aggiungere quelli legati al suo ventennale contatto con la Cina, e finanche quelli in cui viene messo in risalto il suo legame con l’India, o quantomeno con alcuni autori che hanno espresso una visione evolutiva simile alla sua, come Aurobindo[3].In verità, occorre precisarlo, negli anni in cui il gesuita francese affrontava il pluralismo religioso – ed in particolare la mistica delle religioni orientali –, non si parlava ancora, propriamente, di teologia delle religioni o di dialogo interreligioso. Le sue osservazioni sono lungimiranti proprio perché la Chiesa cattolica ha iniziato a prendere in esame il problema del pluralismo, della pacifica convivenza religiosa tra i popoli e del rapporto tra le varie religioni e la Rivelazione cristiana solo negli anni del Concilio. È possibile dimostrare, al riguardo, che gli articoli teilhardiani hanno appunto dato un contributo ed uno stimolo notevole alla promozione della nascente teologia delle religioni e dell’emergente dialogo interreligioso.

Nel primo caso, per esempio, è doveroso rimarcare come la posizione teilhardiana che leggeva il cosmo come un’evoluzione convergente verso il cristico abbia ispirato il cristianesimo anonimo del confratello Karl Rahner, e, attraverso lui, la teologia delle religioni inclusivista di Heinz Rober Schlette, a cui si deve, nel 1963, il primo tentativo di dare ordine sistematico a questa disciplina.

Parimenti, l’interesse decennale di Teilhard de Chardin verso le religioni e soprattutto la sua partecipazione, dopo il rientro dalla Cina, ai primi incontri interreligiosi che si svolgevano in Francia, fanno di lui un precursore ed un profeta del dialogo interreligioso.

Vanno ricordati, a questo proposito, alcuni significativi incontri che si sono svolti tra l’Ottocento ed il primo Novecento. Nel 1893, ad esempio, si era tenuto a Chicago il primo Parlamento mondiale delle religioni, e nel 1936 a Londra, anche come sua conseguenza, era nata la World Congress of Fatiths (Congresso mondiale delle fedi) per opera di Sir Francis Younghusband. La sezione francese, fondata ufficialmente nel 1947 e denominata in un primo momento Congrès Universel des Croyants (Congresso Universale dei Credenti) e successivamente Union des Croyants (Associazione dei credenti), venne costantemente frequentata da Teilhard de Chardin dopo il suo rientro dalla Cina, nel 1946. A lui, anzi, venne chiesto di tenere il discorso inaugurale dal titolo La fede nell’uomo, che, non potendo egli all’epoca tenere discorsi in pubblico, venne letto da René Grousset. Tra il 1947 ed il 1951 parteciparono agli incontri dell’Union des Croyants personaggi come Louis Massignon, Jacques Bacot, Swami Siddheswarananda della Missione Ramakrishna e vari filosofi francesi, da Étienne Gilson a Gabriel Marcel ed Edouard Le Roy. Secondo quanto attesta l’orientalista Bacot, Teilhard non solo prese parte agli incontri dell’Union des Croyants, ma vi contribuì anche con entusiasmo e fervore con dei propri saggi. In quella sede, in ogni caso, solo per ricordare uno degli incontri più significativi, egli ebbe modo di confrontarsi anche con un vero guru indiano, Swami Siddheswarananda. Teilhard lo definì uomo onorevole, ma non mancò di rivolgere critiche aspre al fatto che gli fosse stato concesso di tenere delle conferenze alla Sorbona[4]. Un altro significativo personaggio conosciuto dal gesuita francese in quel periodo attraverso l’Union des Croyants fu Louis Massignon. Era questi, all’epoca, uno dei massimi esperti di islam; l’amicizia con il quale deve essere ricordata anche perché, pur aperto al dialogo, il gesuita francese criticò palesemente l’islam e la sua strutturale chiusura ad ogni prospettiva evolutiva. Ursula King, in particolare, proprio in riferimento alla sua amicizia con questo islamologo docente al Collegio di Francia dal 1926 al 1954, riportava una significativa discussione del 1947 tra Teilhard, Massignon ed il filosofo Marcel, nel quale lo scienziato francese riconosceva il diritto degli altri a professare la loro fede leggendo il movimento evolutivo della convergenza come un prodotto del contributo di persone appartenenti a tutte le religioni.

Oltre alle sue partecipazioni agli incontri organizzati dall’Union des Croyants, un altro Istituto parigino che deve essere ricordato è il Circolo missionario “San Giovanni Battista”. Fondato e diretto da Jean Daniélou, il Circolo fu molto attivo in quegli anni nella promozione di ricerche e studi interreligiosi. Del resto Daniélou, oltre che allievo e confratello di de Lubac alla Facoltà di Lione-Fourvière, che all’epoca era la più prestigiosa di Francia, e poi suo amico e collaboratore, era stato stimolato in questi suoi studi anche dal fratello Alain, che divenne un noto indologo. In questo centro, tra gli anni Trenta e Quaranta, si tennero numerose conferenze sulle principali religioni dell’Asia e dell’Africa, a cui presero parte alcuni degli studiosi e dei missionari più attivi dell’epoca[5]. Daniélou, in un suo saggio del 1946, Il mistero della salvezza delle nazioni, che raccoglie appunto le sue riflessioni al Centro San Giovanni Battista, si rivela essere un teologo particolarmente sensibile al rapporto tra il cristianesimo e le varie tradizioni religiose del mondo.

Le riflessioni di Teilhard de Chardin sul pluralismo religioso, quindi, hanno potuto beneficiare dei numerosi studi che, all’inizio del Novecento, intellettuali di varia estrazione andavano pubblicando in tutta Europa. Nella Francia a cavallo della seconda guerra mondiale, infatti, erano assai note figure come R. Guénon, G. Lanza del Vasto, J. Herbert, J. Marquès-Rivière, O. Lacombe e L. Gardet. Non va trascurato, inoltre, che i gesuiti erano certamente l’istituto religioso maggiormente impegnato in Asia, ed alcuni suoi confratelli missionari si erano dimostrati grandemente interessati a dei tentativi di sintesi col misticismo indiano, come R.P.G. Dandoy, R. De Smet e P. Johannes. Dai carnet di letture di Teilhard, per esempio, malgrado ne siano rimasti solo due, uno del 1945 ed uno del 1950, possiamo ricavare varie altre preziose indicazioni utili a ricostruire le fonti del pensiero teilhardiano intorno alla tematica interreligiosa. Sappiamo, per esempio, che di Johannes lesse il significativo testo: Vers le Christ par le Vedanta, e che studiò anche gli essenziali lavori sulla mistica comparata di J. Maréchal[6]. Come si accennava, inoltre, l’amico de Lubac, oltre ad interessarsi lui stesso di buddhismo, tema al quale ha dedicato due saggi, lo rimise in contatto con Jules Monchanin. Questi, che partì missionario per l’India del sud nel 1939, aveva conosciuto Teilhard già nei primi anni Trenta e deve essere ricordato non soltanto come uno dei primi teologi che ha fatto comparativismo filosofico e teologico con le religioni orientali, ma anche come uno dei più originali ed acuti interpreti delle intuizioni teologiche del gesuita francese[7]. Tra gli altri contatti ed amicizie che il gesuita francese ebbe nel dopoguerra su queste tematiche, deve poi essere menzionata la sua frequentazione, dal 1946 al 1951, di A. Huxley, celebre autore di Perennial Philosophy, testo pubblicato a Londra nel 1945. Una testimonianza a parte che spiega perché Teilhard de Chardin si sia dedicato allo studio delle religioni e delle mistiche orientali, può infine essere rintracciata in Lucile Swam. Questa, infatti, che è stata per anni una delle sue più care amiche e confidenti, finì col convertirsi verso l’induismo creandogli non poco dispiacere[8].

In virtù di questi contatti, ma anche sulla scia di un interesse personale molto forte che lo ha fatto molto riflettere e scrivere intorno al tema, la riflessione teologica di Teilhard de Chardin deve quindi essere collocata – sia su piano di testimonianza che teorico – agli albori della teologia delle religioni e del dialogo interreligioso novecenteschi.

Devono essere richiamate, al riguardo, alcune sue affermazioni che spiegano su quali basi egli fondasse la sua tolleranza e la sua apertura religiosa. Nel discorso inaugurale per l’Union des Croyants del 1947, per esempio, affermò, a giustificazione del perché il pluralismo religioso fosse da leggersi come una ricchezza, che lo spirito ha un solo vertice ed una sola base[9]. Teilhard, del resto, affermava che le religioni «Molto più che frammenti di visione, sono esperienze di contatto con un Inesprimibile supremo che esse conservano e tramandano»[10].

A dimostrazione della simpatia con cui guardava alle religioni – sebbene come vedremo meglio non taceva anche pesanti critiche – si potrebbe citare come egli parlasse di «ruolo indispensabile e funzione essenziale dell’Estremo Oriente»[11]. Egli anzi riteneva che l’incontro con l’India avrebbe prodotto un rinnovamento del cristianesimo[12]. Persuasione che il gesuita ribadì in una lettera destinata a Léontine Zanta nella quale confessava di essersi affacciato all’Oriente perché certo che esso potesse portare un po’ di freschezza alla religiosità dell’Occidente[13].

Riconosceva all’India, in particolare, una sorta di primato mistico e religioso: «La prima corrente di vera mistica (vale a dire di tendenza all’unione universale) […] è quella che, nata in India, cinque o dieci secoli prima dell’era cristiana, per lungo tempo ha fatto di quella contrada il polo religioso della terra»[14]. Teilhard, infatti, individuava «la formazione di questo “ciclone” mistico sulle pianure del Gange»[15].

Di contro a questi richiami indologici, però, il gesuita francese affermava in verità di occuparsi di indologia «Senza possedere io stesso una particolare competenza intorno alla storia del pensiero asiatico»[16]. Tuttavia merita un approfondimento il suo particolare ed originale approccio al fenomeno religioso orientale, che egli analizzava metodologicamente muovendo dall’antitesi, già espressa nel Parmenide da Platone, dell’Uno e il Molteplice[17]. Tale contrapposizione, infatti, era da lui specularmente rintracciata anche nelle religioni asiatiche, soprattutto nella forma di antinomia tra “vuoto” e “pieno”. Termine, il primo, che evocava lo shunya del buddhismo e del Vedanta, mentre il secondo era da lui sostanzialmente ricondotto alle pagine paoline sul pléroma.

Sono vari i testi che potrebbero essere citati per documentare questo suo specialissimo approccio all’Oriente religioso che, per tutta la vita, è rimasto sostanzialmente dialettico ed essenzialmente incentrato sulla mistica. Un testo cruciale, per esempio, tentando di scorrere un breve elenco, porta la data del 1932 ed ha per titolo: La via dell’Ovest verso una nuova mistica. In generale il misticismo – e nello specifico la mistica comparata – è stato uno dei temi fondanti del pensiero religioso di Teilhard. In particolare, egli faceva coincidere l’esperienza mistica con quella che chiamava “il senso cosmico”, dal momento che, come scriveva, «Non c’è religione conquistatrice senza mistica. E non c’è mistica profonda al di fuori della fede in qualche forma di unificazione dell’universo»[18]. L’impostazione dialettica di Teilhard derivava appunto dalla convinzione che tale traguardo spirituale era rappresentato in termini diametralmente opposti nella cultura religiosa dell’Oriente ed in quella dell’Occidente. All’interno dell’articolo menzionato, inoltre, il gesuita francese non mancava di sollevare alcune critiche verso quella che definiva una rinascita in Europa della mistica buddhista, così come verso quel cristianesimo che vi si era gettato credendo di potervisi riconoscere nelle antiche formule dei panteismi indù[19]. In un intervento dell’anno successivo, nel 1933, Teilhard ritornò sugli stessi temi con un articolo dal titolo Le christianisme dans le monde. In esso parlò delle fedi indiane, dell’islam, ma anche di quella che denominava la religione del domani[20]. Particolarmente significativo, infine, è un saggio del 1947 dal titolo: L’apporto spirituale dell’Estremo Oriente, nel quale Teilhard passò in rassegna le tre diverse forme di spiritualità dell’India, della Cina e del Giappone, per poi concludere che in questi paesi il problema dello Spirito è stato affrontato in modo insufficiente, ed era pertanto inutile rivolgersi verso l’est per attendere il sorgere del sole[21].

Ancor più indicativo, comunque, se non altro perché scritto negli ultimi anni di vita, ma anche in ragione del fatto che in esso Teilhard pare voler dare alla sua posizione una chiarezza definitiva, è l’articolo del 1951: Alcune annotazioni “Per vederci chiaro” sull’essenza del sentimento cosmico. In questo saggio, che raccoglie le sue deduzioni finali, egli riaffermava il suo atteggiamento dialettico ribadendo che il senso cosmico (oneness) comune e trasversale delle religioni si poteva ottenere in due modi differenti: dissoluzione impersonale senza amore, o parossismo personale in un centro comune effetto specifico dell’amore, che Teilhard, oltretutto, a sottolineatura di quanto questo elemento distintivo fosse per lui fondamentale, scriveva in stampatello[22].

Alcune considerazioni di approfondimento, del resto, vanno spese non tanto sul suo atteggiamento dialettico, ma su quelle apertamente critiche verso l’idealismo della cosmologia indiana sia buddhista che indù – sebbene sarebbe opportuno fare dei distinguo che egli stesso non ha svolto – che era quanto di più lontano si possa immaginare dal suo attaccamento alla materia e all’evoluzionismo terreno.

Già nell’articolo del 1947, per esempio, scritto nell’ambito dell’Union des Croyants, aveva affermato che le religioni dell’India, della Cina e del Giappone erano come intossicate dal concetto di vuoto, aggiungendo che in esse il mondo è in un certo senso meno chiaro di Dio, ragion per cui nelle suddette religioni è il cosmo e non Dio la realtà di cui si deve dimostrare l’esistenza. Spiegava, infatti, come per gli indù il mondo risulti «meno chiaro di Dio: ne consegue che è l’esistenza del Mondo, e non quella di Dio che fa difficoltà all’intelligenza e che postula di essere giustificata»[23]. Richiamando poi implicitamente il concetto indiano di maya e la spiritualità acosmica che ne consegue, con una nota di sarcasmo scriveva: «La molteplicità degli esseri e dei desideri è soltanto un sogno cattivo, dal quale bisogna svegliarsi. Sopprimiamo lo sforzo di conoscenza e di amore, vale a dire di personalizzazione, che tende a conferire una maggiore consistenza a questo miraggio: e ipso facto (tutto sta là), e proprio grazie allo svanire del Plurale, noi vedremo apparire il fondo essenziale della tela; nel silenzio costante, percepiremo la Nota unica. I fenomeni non ci manifestano, ma ci nascondono la Sostanza»[24]. Il gesuita francese, pertanto, concludeva le sue considerazioni dando sottolineatura della distinzione essenziale che caratterizza la visione occidentale e quella orientale: «I mistici “panteistici” dell’Occidente hanno essenzialmente il senso ed il culto dei valori reali dell’Universo. Logicamente, al contrario, per il filosofo orientale questi valori non esistono più»[25].

Secondo Teilhard de Chardin, del resto, l’Oriente, rispetto all’Occidente cristiano, pone di fronte a «due nozioni inverse dell’unità: da una parte, l’unità di impoverimento, tramite l’astrazione, o il ritorno all’omogeneo; e, dall’altra parte, l’unità di ricchezza, per concentrazione di quanto c’è di positivo nelle determinazioni e le qualità»[26].

Questa sua posizione dialettica è stara ripetuta, con estrema coerenza e grande continuità, in ogni suo scritto da lui dedicato al tema delle differenze tra religiosità orientali ed occidentali. Nel 1931, ad esempio, in riferimento al problema dell’Uno e dei Molti, aveva parlato di “soluzione occidentale” e “soluzione orientale”. Nel 1932 scriveva invece di “Via dell’Est” e “Via dell’Ovest” e dei loro contrapposti percorsi di realizzazione spirituale attraverso la soppressione o attraverso la sublimazione. Nel 1937, continuando la sua progressiva chiarificazione, ne aveva parlato come di due opposte forme di unione per mezzo della dissoluzione e per mezzo della differenziazione o concentrazione. Nel 1939 esponeva invece una duplice tipologia di panteismo: in virtù della fusione degli elementi e in virtù della loro raggiunta pienezza attraverso l’ingresso in un centro più profondo. Nel 1945 enumerava due antitetici percorsi mistici: quello della semplificazione e della fusione tipica dell’Oriente e quello della sintesi o unità attraverso l’unificazione tipica appunto del cristianesimo. Nel 1948 parlava di due diverse ineffabilità, quella di relaxation e quella di tensione. Nel 1950 di due forme di spirito: quello di identificazione o fusione e quello di unificazione o amorizzazione. Nel 1951, precisando appunto in maniera definitiva tale visione, di due vie derivanti da due differenti mistiche: quella del divenire Uno con un fondo comune dedifferenziante, de-personalizzante e senza amore, e quella di divenire Uno attraverso una centrounificazione degli elementi per effetto dell’amore.

Un discorso a parte, invece, per disposizione ed accento, meritano, come si accennava, i suoi commenti verso l’islam. Teilhard, pur non essendo al pari dell’induismo e del buddhismo un vero esperto di questa tradizione religiosa, lo conosceva abbastanza bene avendo vissuto in Egitto prima del suo soggiorno forzato in Oriente. Anche di questa religione, quindi, senza essere uno specialista, poteva scrivere con una certa cognizione di causa[27]. Su di esso fece alcune considerazioni di carattere generale ma categoriche. Pur avendo positivamente riconosciuto che il senso cosmico dell’unità è presente in molti sufi – il cui misticismo egli associava alla “via dell’Est” –, e pur lodando la loro celebrazione della grandezza di Dio e la natura organica della società nell’islam, dava infatti un giudizio sostanzialmente negativo sulla religiosità coranica. Valga, a questo riguardo, quanto è possibile leggere all’interno di Science et Christ: «L’Islamismo conserva una concezione elevatissima di Dio, ma non agevola il progresso del Mondo; nel sociale, infatti, regna la stagnazione. Può darsi che vi sia in futuro una rinascita, ma per ora “l’Allah del Corano è un Dio per Beduini. Non potrebbe attirare verso di sé le attenzioni di nessun uomo veramente civilizzato”»[28]. La severa critica appena menzionata nasceva probabilmente dal fatto che l’islam sembra essere una religione ritrosa ad accettare una qualsivoglia dinamica evolutiva, che, a suo avviso, non apportava alcun contributo alla soluzione dei problemi religiosi moderni[29]. Del resto, come giustamente fa notare anche la King, la fede islamica, basandosi sulla fissità etico-sociale del Corano, è effettivamente una religione che si oppone diametralmente alla sua fede nell’evoluzionismo[30]. Anche a prescindere da ciò, comunque, egli congedava l’islam come un giudaismo residuale[31].

In sostanza, quindi, Teilhard de Chardin ha dimostrato simpatia e stima verso le culture religiose non cristiane, ma ha anche sottolineato i loro limiti metafisici: dall’idealismo al panteismo; dal dualismo al relativismo; dalla svalutazione della Persona alla negazione dell’amore e della differenza ontologica; dall’acosmismo alla fuga dall’impegno nella storia[32]. Proprio in virtù della constatazione di questi limiti, egli riteneva che le varie religioni sarebbero col tempo confluite verso il cristianesimo. Da questo punto di vista, sebbene egli non abbia usato questo termine, è oggettivamente il primo teologo inclusivista della nascente teologia delle religioni.

Questa sua convinzione che le varie fedi avrebbero finito per evolvere verso il cristianesimo o quantomeno verso i valori cristici, spiega, d’altro canto, anche il suo linguaggio. Già nel 1932, per esempio, aveva parlato delle religioni come “vie”, usando così un termine intrinsecamente dialogico nella misura in cui lascia supporre che la diversità dei percorsi è ininfluente rispetto all’unicità della meta. Prescindendo dal linguaggio da lui usato, comunque, nei suoi scritti Teilhard ha ripetutamente fatto riferimento ad una finale “convergenza delle strade” e alla “confluenza delle religioni”. L’evoluzionismo convergente che fonda il suo pensiero scientifico-religioso, in altre parole, ha una riverberazione nel pluralismo religioso nella misura detta dinamica che coinvolge anche le culture e le religioni. Secondo i principi del suo pensiero filosofico, infatti, se l’evoluzione è sostanzialmente un’unificazione, essa non esclude e non può escludere le credenze religiose. La convergenza finale verso il punto omega, in altre parole, doveva necessariamente abbracciare tutte le diversità, ivi incluse quelle delle religioni.

Ribadendo il primato della mistica occidentale, e quindi del cristianesimo, scriveva: «Individui, nazioni, razze e religioni, domani scomparirà tutto ciò che oggi non ha messo in gioco la sua anima sul sentiero dell’Ovest»[33]. Secondo Teilhard de Chardin, infatti, la “via” occidentale era la sola dottrina religiosa in grado di preservare quel primato dell’amore che i corollari dell’induismo e del buddhismo azzerano inesorabilmente. Da ciò, occorre ribadirlo, la primazia religiosa che egli associava alla dottrina cristiana e la previsione di una conversione del mondo che «avverrà per convergenza intorno ad una Religione dell’Azione che si scoprirà gradualmente identica e sottomessa al Cristianesimo fedelmente prolungato fino al culmine di se stesso»[34]. Le avvisaglie di tale processo Teilhard le aveva già viste in atto nel 1934, allorquando in Credo in questo modo aveva prefigurato un’assunzione ed una confluenza delle religioni, soprattutto asiatiche, verso la Rivelazione cristiana: «Non si va forse avvicinando il momento in cui le potenti riserve delle tre principali correnti spirituali dell’Estremo Oriente defluiranno mischiandosi a noi?»[35] In virtù di tale dinamica egli parlava, per esempio, di una “religione dell’avvenire”, tema e contenuto principale, questo, del suo testamento spirituale del 1934: «Una convergenza generale delle Religioni su un Cristo-Universale che in definitiva le soddisfa tutte: ecco, a parer mio, l’unica possibilità di convergenza del Mondo, l’unica forma immaginabile per una Religione dell’avvenire»[36]. Teilhard de Chardin, in definitiva, è stato un precursore del dialogo interreligioso, ma anche un teologo delle religioni a cui si deve l’origine e la fondazione stessa della prospettiva inclusivista del compimento.

[1] Cfr. P. Trianni, Il Cristo di tutti. Teilhard de Chardin e le religioni, Studium, Roma 2012; G.-H. Baudry, Teilhard de Chardin et l’appel de l’orient. La convergence des religions, Aubin Éditeur, Saint Étienne 2005; cfr. U. King, Towards a New Mysticism. Teilhard de Chardin and Eastern Religions, Paulist Press, New York 2011². e Id., The spirit of one earth. Reflection on Teilhard de Chardin and Global Spirituality, Paragon House, New York 1989 (il testo raccoglie articoli che vanno dal 1970 al 1984). In italiano, sulle medesime tematiche, è possibile consultare Id., Cristo in tutte le cose, Edizioni Messaggero, Padova 2001; e Id., Teilhard de Chardin e lo studio comparato delle religioni, in Il Futuro dell’uomo 3 (1986); H. Deletie, Teilhard de Chardin et la philosphie traditionelle de l’Extreme-orient, in Rencontre Orient-Occident 4 (1962), pp. 13-18; M. Choisy, Teilhard et l’Inde, Éditions Universitaires, Paris 1963; R.C. Zaehner, Teilhard and eastern religions, in The Teilhard review 2 (1967-68), pp.  41-53; B. Bruteau, Evolution toward divinity. Teilhard de Chardin and the hindu traditions, Theosophical Publishing House, Wheaton 1974. Una menzione a parte lo merita invece il Convegno che si è tenuto il 23 maggio 1998 presso l’Istituto Stensen di Firenze dal titolo «Oriente ed Occidente: spiritualità a confronto», i cui atti sono stati parzialmente pubblicati in Il Futuro dell’uomo› 2 (1998).

[2] Sia pure in modo indiretto, il lavoro e la testimonianza di Teilhard de Chardin si possono rintracciare dietro gli schemi di Dignitatis Humanae, la Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa, e Nostra Aetate, la Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Per un breve sommario su quale sia stato il contributo che gli scritti ed il pensiero di Teilhard hanno dato al Concilio, si consideri il capitolo Teilhard al Vaticano II in H. de Lubac, Teilhard posthume. Réflexions et souvenirs, Fayard, Paris 1977, pp. 145-155.

[3] Cfr. C. Rivière, En Chine avec Teilhard, Seuil 1968; M. Bergeron, La Chine et Teilhard: parole d’homme, Delarge, Paris 1976; D. Wang, A Péking avec Teilhard, Laffont, Paris 1981. Per quanto riguarda invece collegamenti con l’induismo e specificatamente con Aurobindo si consideri: A. Monestier, Teilhard e Sri Aurobindo, Éditions Universitaires, Paris 1963; R.C. Zaehner, Evolution in religion. A study in Sri Aurobindo and Pierre Teilhard de Chardin, Clarendon Press, Oxford 1971; J Feys, The philosophy of evolution in Sri Aurobindo and Teilhard de Chardin, Calcutta 1973; T. Aykara, Cosmic Consciounsness. A Comparative Study on Teilhard de Chardin and Sri Aurobindo, Dharmaran Pubblications, Bangalore 1997, (dello stesso docente indiano, sebbene in esso sviluppi meno il confronto con Teilhard, si può anche menzionare: Sri Aurobindo, un incontro tra il mondo orientale e il mondo occidentale, in Concilium 1 (2000) pp. 167-179); A. Camici, Sri Aurobindo Ghose. Intuizioni e convergenze con Teilhard de Chardin, in Un futuro per l’uomo 2 (2004). Per l’organicità nell’esposizione comparativa merita infine una segnalazione a parte la pubblicazione in prima edizione nel 1976 del gesuita I. Quiles, El Hombre y la evolucion segun Aurobindo y Teilhard, Ediciones Universidad del Salvador, Buenos Aires 20072.

[4] Cfr. P. Teilhard de Chardin, Lettres intimes, Aubier-Montaigne, Paris 1974, p. 368.

[5] Cfr. F. Jacquin, Histoire du Cercle Saint Jean-Baptiste: L’Enseignement du Père Daniélou, Beauchesne, Paris 1987.

[6] A queste due letture teilhardiane, molto opportunamente, la King dedica un’appendice di approfondimento. Si potrebbe aggiungere che il saggio di Johannes raccoglie in verità una serie di articoli pubblicati in The Light from East, rivista edita a Calcutta dal 1922 al 1945. Esso, in particolare, mette a confronto il pensiero di Tommaso con il Vedanta. Per quanto riguarda la lettura di Études sur la psychologie des mystiques di J. Maréchal, invece, è opportuno sottolineare che molte annotazioni riguardano esattamente il buddhismo (cfr. U. King, Towards a New Mysticism. Teilhard de Chardin and Eastern Religions, cit., pp. 258-269).

[7] Nato a Fleurie, piccolo borgo a nord di Lione nel 1895, Jules Monchanin fu un personaggio la cui levatura intellettuale era destinata ad influenzare profondamente la cultura ecclesiale francese se non avesse scelto, in seguito ad un voto e contro la volontà del padre, di consacrarsi alla missione in India, dove successivamente fondò con Henri Le Saux il primo ashram cristiano dell’India. Al fine di rispondere a questa chiamata, da prete diocesano decise di unirsi alla Société des Auxiliaires des Missions, riuscendo così a salpare per quella terra nel maggio del 1939. Egli portò con sé gli innovativi fermenti teologici che animavano la cultura francese negli anni Trenta, ed i suoi profondi studi sulle religioni e le filosofie dell’Oriente, di cui poi si avvalse nel suo lavoro di confronto e dialogo con le varie espressioni culturali dell’India. A conferma della sua preparazione in questo campo, Monchanin ebbe l’amicizia e la stima di indologi come Pierre Filliozat, direttore dell’Istituto Francese di Indologia di Pondichérry, e Lilian Silburn. I suo articoli, inoltre, influenzarono vari altri studiosi di cultura indiana come Madeleine Biardeau e Suzanne Siauve Cfr. M. Giani, Un ponte tra cultura europea e cultura indiana. L’itinerario di Jules Monchanin (1895-1957), Jaca Book, Milano 2000.

[8] Cfr. la lettera del 29 marzo 1951 in, P. Teilhard de Chardin, The letters of Teilhard de Chardin and Lucille Swam 1937-1955, Georgetown University Press, Washington DC 1933.

[9] Cfr. U. King, Cristo in tutte le cose, cit., p. 173.

[10] P. Teilhard de Chardin, L’activation de l’énergie, Éditions du Seuil, Paris 1963, p. 250.

 

[11] Id., Le direzioni del futuro, SEI, Torino 1996, p. 181.

[12] Cfr. Id., Lettres intimes, cit., p. 274.

[13] Cfr. P. Teilhard de Chardin, Letters to Léontine Zanta, Desclée de Brouwer, Paris 1965, 53.

 

[14] P. Teilhard de Chardin, Le direzioni del futuro, cit., p. 48.

 

[15] Ibid.

[16] Ibid., p. 165.

[17] La ricerca, ad un tempo filosofica e teologica di Teilhard, procedeva da un interrogativo legato alla radice platonica del pensiero occidentale: «L’Uno e il molteplice. Donde la dispersione? E come il ritorno all’unione?» (ibid., p. 45).

[18] Ibid.

[19] Cfr. ibid., p. 50.

[20] Cfr. Id., Science et Christ, Éditions du Seuil, Paris 1965, pp. 131-145.

[21] Scriveva Teilhard in un periodo nel quale molti occidentali iniziavano ad andare in India alla ricerca di saggezze e verità che sarebbero sconosciute all’Occidente: «Nella sua complessità il problema dello Spirito non è stato risolto in Oriente; ed è inutile che, in questo ambito, ci rivolgiamo verso l’Est per attendere il sorgere del sole» (Id., Le direzioni del futuro, cit., p. 174).

[22] Cfr. ibid., p. 262.

[23] Ibid., p. 166.

[24] Ibid., p. 49.

[25] Ibid., p. 50.

[26] Ibid., p. 65.

[27] Come riassume la King menzionando però l’edizione inglese, Teilhard de Chardin parla dell’islam soprattutto in tre testi: Science and Christ, Collins, London 1975, p. 104; Christianity and evolution, Collins, London 1969, p. 61 e L’activation de l’énergie, cit., p. 157.

[28] Id., Science et Christ, cit., p. 138.

[29] Cfr. ibid., p. 121.

[30] Su questa conclusione, sulla quale converge anche la King, si consideri G. Le Brun Kéris, Teilhard de Chardin et l’Islam, in La Croix 17.12.69.

[31] Cfr. P. Teilhard de Chardin, Christianity and evolution, cit., p. 199.

[32] Come scriveva il sacerdote francese: «Persisto nel credere che le religioni e la contemplazione orientali uccidano l’azione» (Id., Lettres intimes, cit., p. 274).

[33] Id., Le direzioni del futuro, cit., p. 65.

[34] Id., Science et Christ, cit., p. 145.

[35] Cfr. Id., Le direzioni del futuro, cit., p. 181.

[36] P. Teilhard de Chardin, La mia fede. Scritti teologici, Queriniana, Brescia 1993, p. 124.