«Praesentire cum Ecclesia».

Teilhard de Chardin tra la sua «singolarità» di credente e
la ricerca di un cammino di rinnovamento della Chiesa.
di Gianfilippo Giustozzi

Nelle ultime righe di Le Christique, scritto datato marzo 1955, composto, quindi, un mese prima della morte, Teilhard parla di sé stesso come di un credente «isolato», di un «irregolare», che «annuncia ed evoca ciò che deve venire».

Queste autodesignazioni non autorizzano l’identificazione di Teilhard come un visionario, un mistico stravagante, o un profeta eccentrico che parla uno strano gergo cristiano. La sua «singolarità» è infatti il prodotto della sua condizione di religioso e di scienziato nella cui persona, una profonda religiosità si è unita con l’amore della conoscenza del mondo prodotta da scienze come la geologia, la paleontologia, la paleoantropologia, e con una riflessione sui futuri scenari dell’evoluzione in cui le competenze dello scienziato si saldano con i pensieri del filosofo e le speranze del cristiano.

  1. Un innovativo programma di ricerca teologica

Nel suo tentativo di riforma del discorso cristiano, Teilhard non si limita alla ricerca di un possibile rapporto di concordia tra discorso scientifico sulla natura, tecnoscienza, e una fede cristiana fissata nella configurazione stabilita da una ortodossia ritenuta immutabile, e da una teologia che esclude la possibilità di riformulazione del discorso cristiano in presenza dei mutamenti dell’immagine del mondo e della vita umana prodotti dalla nascita e dall’avanzamento del sapere tecnico-scientifico. Dalla sua esperienza di religioso e di scienziato trae infatti la convinzione secondo la quale gli risulta impossibile «fare tranquillamente scienza», come gli ingiungono i Superiori della Compagnia di Gesù, senza, contemporaneamente, ripensare la propria visione religiosa.

Spinto da questa convinzione, elabora un pensiero che si differenzia dalla mentalità tipica di molti intellettuali cattolici, per i quali «il cristianesimo resta immutato, quali che siano le apparenze assunte, per la nostra esperienza, dall’Universo (nelle sue dimensioni, nella sua struttura, nella sua organicità)»[1]. È sua convinzione, infatti, che la nascita, l’espansione, il potenziamento del sapere tecnico-scientifico, esercitano sulla religione un urto decostruttivo che la teologia deve prendere seriamente in considerazione, se non desidera affidare la pratica cristiana ad un dogmatismo autoritario, o ad una «pietà» senza pensiero.

Per delineare un discorso teologico capace di elaborare le problematiche connesse all’affermarsi della visione evolutiva del mondo e all’accelerazione dell’espansione del sapere tecnico-scientifico, Teilhard ritiene che la Chiesa debba «rompere» con la convinzione di essere in possesso di una formulazione immutabile della verità che le garantisce il monopolio della spiegazione della realtà, e debba, di conseguenza, ripensare il «Dogma» nell’orizzonte di una mutata visione della natura e della vita umana. Questo passaggio culturale viene da lui assimilato all’attraversamento di una «soglia» nel campo del pensiero teologico, un transito che richiede, di rompere il «guscio» del discorso teologico convenzionale, e dislocare la costruzione della teologia nello spazio aperto da una comprensione del cosmo e dell’uomo che «deborda» l’immagine del mondo e dell’uomo depositata nei linguaggi e nei modi di pensare e di vivere l’esperienza cristiana codificati dalla Chiesa.

Attualmente – scrive il gesuita in due note di diario vergate tra la fine del 1917 e l’inizio del 1918 – c’è veramente una crisi del Cristianesimo nel mondo, dovuta al fatto che il Mondo sembra largamente debordare la spiegazione cristiana, il Cristianesimo, attraverso i suoi misteri, la sua potenza, la sua vitalità evolutiva. Occorre mostrare che il Cristianesimo, ben compreso, è alla misura di queste oscurità e di queste promesse […]. Passiamo dunque attraverso una soglia nella storia del Dogma. Occorre rompere un guscio, quello della credenza beata nel possesso di una spiegazione universale del Mondo […]. La Realtà deborda ancora il Dogma esplicitato (Mondo più grande della Religione formulata)[2].

Il gesuita delinea in tal modo un innovativo programma di ricerca che si propone parlare di Dio e della pratica cristiana collocandosi nell’orizzonte dei linguaggi e delle forme di vita prodotti da una cultura che considera l’evoluzione del cosmo, la crescita esponenziale della potenza del sapere tecnico-scientifico, la crescente unificazione della specie umana nel nuovo spazio di realtà da essa prodotto, la «Noosfera», come gli apriori entro cui collocare ogni conoscenza e ogni esperienza del mondo, quindi, anche la dottrina, la spiritualità, la prassi della Chiesa[3].

  1. Un approccio post-teista al divino: il panenteismo cristiano.

Teilhard ritiene che per soddisfare i bisogni e le aspirazioni religiose di una umanità che attraversa una fase di profondi cambiamenti sia necessario dar vita a «un’altra teologia». Per questo invita i credenti a liberarsi da atteggiamenti di pigrizia mentale, che, per timore di vedere «esplodere» le immagini convenzionali di Dio, dell’uomo, dell’esperienza cristiana, li inducono a rifiutare, oppure a guardare con sospetto quanto realizzano gli uomini con le loro ricerche e le loro sperimentazioni. Egli intende infatti valorizzare le «qualità creatrici» che appartengono alla natura e al mondo umano, poiché ritiene che la verità non sia il testo già scritto nel mondo e nella vita umana dall’atto originario della creazione, ma, al contrario, sia il prodotto della sinergia tra divenire della natura, divenire della «vita pensante», azione di «amorizzazione» del cosmo che assume forma nella manifestazione di Dio in Gesù Cristo. In tal modo, quello che la metafisica neoscolastica chiama l’«essere partecipato» perde la connotazione di realtà irrilevante rispetto all’assolutezza dell’essere divino, per divenire un fattore determinante nella costruzione della figura escatologica di uno stato di unificazione del reale che è il risultato della sinergia tra il divenire del processo cosmogonico e l’azione divina, che nel linguaggio cristiano viene indicata attraverso le categorie di creazione, incarnazione, redenzione, pleroma.

Teilhard si congeda così dal teismo tipico della teologia filosofica neoscolastica, come pure dalla «metafisica biblica» evocata da Claude Tresmontant, un interprete del suo pensiero dal lui duramente avversato[4]. In ambedue i casi, infatti, Dio, viene concepito come ente «altro» rispetto al mondo, il quale non influisce in alcun modo nella configurazione della sua costituzione d’essere.

La posizione del gesuita va invece in altra direzione, ed è espressa sinteticamente nell’enunciato lapidario contenuto in uno scritto del 1936 in cui si legge che Dio è «reale» ma «non realizzato»[5]. A suo avviso, infatti, guardando il mondo dal punto di vista del suo compimento escatologico, Dio si completa nel pleroma, poiché l’unità con il cosmo che in esso si realizza amplifica l’unità immanente appartenente alla struttura trinitaria dell’essere divino. «Dio si compie – scrive – si completa in qualche modo nel pleroma», cioè in quella figura ultima del reale nel quale «non resta più nulla da unificare né in Dio né “al di fuori” di Dio»[6].

Teilhard delinea in tal modo la figura di un «panteismo cristiano»[7] che articola il proprio discorso a partire dalla comprensione di Dio, del mondo, della vita umana, implicita in categorie del discorso cristiano come Trinità, incarnazione, eucarestia, prassi ispirata alla carità, attesa del Regno di Dio, pleroma. Su questa base accede alla comprensione di Dio come «atmosfera», come «sfera», come «ambiente universale», cioè realtà che non è né «fuori», né «accanto» al mondo, ma costituisce lo sfondo «mobile» in cui sono immersi il mondo e la vita umana.

In forza dell’evento cristologico, e del «contatto» in esso stabilitosi tra Dio, mondo, uomo, e delle «estensioni» che di esso si danno nella predicazione, nell’eucarestia, nella prassi ispirata alla carità, nell’attesa del Regno di Dio e del suo compimento nel pleroma, il mondo appare come «luogo sacro». Non è infatti lo scenario dell’«epifania» di un Dio ad esso esterno, ma l’ambiente in cui si dispiega la sua «Diafania». Il «contatto» tra Dio, mondo, uomo, prodottosi nell’evento cristologico costituisce in tal senso il «focolaio storico» nel quale trova espressione quella unità tra Dio, cosmo, «vita pensante», che costituisce la grammatica profonda che regola la costituzione della realtà.

La divina presenza non si è manifestata semplicemente di fronte a noi, accanto a noi. È scaturita in modo così universale, ce ne troviamo talmente avvolti e pervasi che non ci rimane neppure un posto per cadere in ginocchio, fosse pure nel profondo di noi stessi. Mediante tutte le creature, senza eccezione, il Divino ci assedia, ci pervade, ci plasma. Pensavamo che fosse lontano, inaccessibile, invece viviamo immersi nelle sue sfere ardenti. «In eo vivimus». In verità, come diceva Giacobbe uscito dal suo sogno, il mondo, questo mondo tangibile per il quale sentivamo la noia e l’irriverenza riservate ai luoghi profani, è un luogo sacro, e non lo sapevamo? «Venite, adoremus» […]. Se è lecito modificare leggermente una parola sacra, diremo che il grande mistero del cristianesimo non è esattamente l’Apparizione, ma la Trasparenza di Dio nell’Universo. Sì, o Signore, non solo il raggio che sfiora, ma il raggio che penetra. Non la tua Epifania, o Gesù, ma la tua Diafania[8].

Nel contesto di questa visione evolutiva di Dio, del mondo, della vita umana, la pratica cristiana viene compresa come pratica di attivazione e di sostegno dell’azione creatrice di un’umanità che, attraverso l’espansione della propria potenza cognitiva e operativa, arriva ad accreditarsi come formazione capace di dar corso al «rilancio» dell’evoluzione.

Per Bergson l’universo «è una macchina per produrre dei», per Teilhard è una «macchina» per produrre il pleroma, per muovere cioè verso quella figura ultima dell’evoluzione in cui si realizza il massimo di unità fra Dio, mondo, «vita pensante». In tale orizzonte prende forma una relazione tra Dio, cosmo, uomo, in cui si passa dalla sudditanza ontologica dell’ens ab alio nei confronti dell’ens a se alla sinergia tra fonti differenti di creatività che trovano il proprio compimento nella estensione alla totalità dell’universo della compenetrazione tra mondo, uomo, Dio, realizzatasi nell’esistenza di Gesù Cristo, che si prolunga nell’eucarestia e nell’energia contenuta nella speranza cristiana di un mondo riconciliato.

In questa storia generale della Materia, chi non riconoscerebbe – scrive Teilhard – il grande gesto simbolico del Battesimo? Nelle acque del Giordano, immagine delle potenze della Terra, il Cristo si immerge. Egli le santifica. E, come dice San Gregorio Nisseno, ne esce gocciolante, sollevando il Mondo con Sé […]. Nulla di meno di questa Parusia ci vuole per equilibrare e dominare, nei nostri cuori, la gloria del Mondo che si eleva. Affinché con Te possiamo vincere il Mondo, manifestati a noi ammantato della Gloria del Mondo […]. Ci siamo compenetrati a lungo in queste prospettive: il progresso dell’Universo, e specialmente dell’Universo umano, non fa concorrenza a Dio, né rappresenta un vano sperpero delle energie che gli dobbiamo. Più l’uomo sarà grande, più l’Umanità sarà unita, cosciente e padrona della propria forza, più, di conseguenza, la creazione sarà bella, l’adorazione perfetta, tanto più il Cristo troverà, per le Sue espansioni mistiche, un Corpo degno di risurrezione[9]

[1] P. Teilhard de Chardin, Lettres familières de Pierre Teilhard de Chardin mon ami. Les dernières années (1948-1955), Éditions du Centurion, Paris 1976, p. 195.

[2] P. Teilhard de Chardin, Journal, Tome I (cahiers 1-5): 26 août 1915 – 4 janvier 1919, Fayard, Paris 1975, p. 255. Sulla rilevanza della problematica di un «Dio equicosmico», «coestensivo» all’immagine dell’universo elaborata dalla fisica e dalle scienze della natura, mi permetto di rimandare a G. Giustozzi, Pierre Teilhard de Chardin. Geobiologia / Geotecnica / Neo-cristianesimo, Studium edizioni, Roma 2016, pp. 49-53

[3] Sule varie fasi della ricerca perseguita da Teilhard di una «rifondazione» della teologia cattolica cfr. G. Giustozzi, Teilhard de Chardin. La «reinvenzione» dell’esperienza religiosa, Studium edizioni, Roma 2021, pp. 89-216.

[4] Sulla questione rimando a G. Giustozzi, Teilhard contro Tresmontant. Testi e contesti dello scontro tra il gesuita e un suo interprete, in M. Florio (ed.), Scrutando il Mistero nella storia, Cittadella Editrice, Assisi 2018, pp. 230-254.

[5] P. Teilhard de Chardin, Esquisse d’un Univers personnel, in Id., L’Énergie humaine, Éditions du Seuil, Paris 1962, p. 91.

[6] P. Teilhard de Chardin, Christianisme et Évolution. Suggestions pour servir à une Theologie nouvelle, in Id., Comment je Crois, Éditions du Seuil, Paris 1969, p. 209.

[7] Per una analisi del pensiero di Teilhard in rapporto al «panteismo cristiano», al «pancristismo», formule che, al pari di altre, come «Cristo cosmico», «Dio evolutore», sono spesso ricorrenti nella sua opera, e mostrano somiglianze con il panenteismo evocato da Karl Krause, cfr. G. Giustozzi, Teilhard de Chardin. Geobiologia/Geotecnica/Neo-cristianesimo, pp. 70-113; 145-164; 278-284; 600- 619; Id., Teilhard contro Tresmontant, in Florio, Scrutando il Mistero nella storia, pp. 230-254; V. Mendonca, Panentheistic Interconnectedness. On The Revival of Metaphysics in A.N. Whitehead and P. Teilhard De Chardin, Katholieke Universiteit Leuven, July 2019: https://lirias.kuleuven.be/retrieve/545999; C. Fanti (ed.), Quale Dio, quale cristianesimo. La metamorfosi della fede nel XXI secolo, Gabrielli editori, San Piero in Cariano (VR) 2022.

[8] P. Teilhard de Chardin, L’Ambiente Divino, tr. it. di A. Dozon D’Averio e F. Mantovani, Queriniana, Brescia 20054, pp. 85;101.

[9] Ibidem, pp. 81;98;124.