TEILHARD DE CHARDIN Opera di Pietro Cerati

Da che l’uomo è uomo, ha iniziato ad interrogarsi sul proprio destino e, nella misura in cui l’umanità ha preso coscienza di se stessa, ha sentito il bisogno di indagare sulla propria origine. Interpretazione religiosa e scoperte scientifiche si sono sempre intrecciate nell’offrire delle risposte, spingendo sempre più avanti le eventuali soluzioni.

Uomo di fede che però non ha mai rinunciato alla ragione, Teilhard de Chardin ha rischiato di persona, cercando un senso all’avventura umana. Lo ha fatto spinto da un lato dall’audacia della sua intelligenza, dall’altro dalla forza dell’amore, indirizzato con uguale passione agli esseri umani e alle cose. Mentre era in vita, gli fu imposto il silenzio, ma, pur nella sofferenza, ciò non gli impedì di credere nella potenza unitiva dell’amore e nella capacità insita proprio negli esseri e nelle cose di sfociare in Dio.

Pierre Teilhard de Chardin nasce il 1° maggio 1881 in Auvergne, al Castello di Sarcenat, nel comune di Orcines, non lontano da Clermont-Ferrand. La sua è una famiglia della piccola nobiltà di campagna. La madre, pronipote di Voltaire, è donna devota, discreta, ma forte (dei suoi undici figli ne vedrà morire sette). Il padre ha buona cultura umanistica e gusti da naturalista: sarà lui ad influenzare in questo senso il figlio, facendogli scoprire la natura, le piante, gli insetti. Tanto più che la prima educazione culturale di Pierre avviene proprio tra le mura domestiche ad opera del padre e dei precettori. Trascorre quindi l’infanzia in una piccola società circoscritta, composta da fratelli e cugini, non chiusa, ma vivace e aperta alla carità verso il prossimo cui la madre si dedica.

A 11 anni entra nel Collegio dei Gesuiti a Villefranche-sur-Saone, dove fra l’altro sarà allievo di Henri Bremond. Nel corso dell’adolescenza si sente chiamato alla vita religiosa e nel 1899 entra nel noviziato dei Gesuiti a Aix-en-Provence per una formazione che, come per tutti i Gesuiti, durerà tredici anni. Nel 1901 pronuncia i primi voti e scrive ai suoi: «Pregate perché io sappia essere all’altezza di ciò che Dio mi chiede».

Proseguendo gli studi a Jersey, incomincia ad essere fortemente attratto dalla natura animale e vegetale, si aggiorna sulle nuove scoperte della fisica, legge L’Evoluzione creatrice di Bergson. Tutto questo fervore, questa forte propensione per la scienza, mentre lo induce alle prime appassionate riflessioni che lo condurranno alla sua grandiosa sintesi, gli instilla anche il dubbio che la passione per la ricerca scientifica possa essere di ostacolo alla vocazione sacerdotale. Il maestro dei novizi gli dichiara che «il Dio della Croce gli richiede l’espansione “naturale” del suo essere tanto quanto la sua santificazione»; così sostenuto, supera la crisi.

Nel 1905 è nominato professore di fisica e chimica al Cairo. I tre anni trascorsi in Egitto gli danno la possibilità di compiere le sue prime ricerche su pietre rare, fossili, ecc. Egli si immerge in questo ricco mondo esotico con tutto l’acume della propria intelligenza e, come detto più sopra, con tutta la forza del proprio amore per il cosmo. Riferendosi a quell’epoca e a quelle sensazioni, lascerà scritto:

«Era la prima ondata di esotismo che mi investiva. L’oriente intravisto e bevuto avidamente nella sua luce, nella sua fauna, nei suoi deserti. […] Il Mondo si crea ancora e in lui è il Cristo che si compie. […] Quando ebbi inteso e compreso questa parola, contemplai, e mi accorsi, come in un’estasi, che attraverso tutta la natura mi ero tuffato in Dio. »

Torna a proseguire i suoi studi di teologia ad Hastings e quando viene ordinato sacerdote, il 24 agosto 1911, scrive:

«Con tutte le mie forze, in quanto prete, voglio essere il primo a prendere coscienza di ciò che il mondo ama, persegue, soffre. […] Più profondamente umano, più nobilmente terrestre di ogni altro servitore del mondo. »

Continua i suoi studi scientifici a Parigi, lavorando presso il laboratorio del celebre paleontologo Marcelin Boule e incomincia a pubblicare regolarmente degli studi in cui affiora già la preoccupazione di creare una sintesi tra le nuove frontiere della scienza e le vedute religiose che intuisce rischino di bloccarsi in categorie culturali troppo rigide.

Allo scoppio della guerra, nel 1914, viene mobilitato come portaferiti, incarico che svolgerà fino alla fine, nel marzo 1919, avendo rifiutato la nomina a cappellano militare per poter rimanere tra gli uomini in prima fila. Riceverà, per il suo valore, citazioni, medaglia al valore e nomina a cavaliere della Legion d’Onore, ma gli anni di guerra fungono da vero e proprio crogiuolo da cui scaturiscono le prime scintille del suo genio e la sua spiritualità. Lo intuiamo da queste poche righe inviate, come tutti i suoi scritti del tempo della prima guerra mondiale, alla cugina Margherita, affinché li conservasse in caso di morte:

«Scrivo su un quaderno di scuola gli appunti di un soggetto che è il problema della mia vita interiore: la conciliazione del progresso e del distacco. L’Amore cioè appassionato e legittimo di una Terra sempre più grande e la ricerca del Regno di Dio. Come essere cristiano come nessun altro, essendo uomo più che qualsiasi altro.»

Intanto nel 1918 aveva pronunciato i voti perpetui. Nel marzo 1922 discute la sua tesi dal titolo «I mammiferi dell’Eocene inferiore francese e i loro giacimenti». Subito gli affidano una cattedra all’Istituto Cattolico di Parigi; nello stesso tempo tiene delle conferenze agli allievi della Scuola Normale e lavora con Edouard Le Roy, successore di Bergson al Collège de France.

A Tien Tsin è attivo un importante laboratorio che collabora con il laboratorio Boule; sono in corso ricerche di notevole importanza e Teilhard vi viene inviato a collaborare per due anni. Partecipa così ad importanti spedizioni e nelle lettere di viaggio che invia costantemente agli amici (abitudine che conserverà per tutta la vita nei vari luoghi dove si troverà) cogliamo i suoi entusiasmi, le sue impressioni e scopriamo il suo raro talento di scrittore soprattutto nel descrivere la natura.

Nel 1924 rientra a Parigi per riprendere la sua cattedra e le conferenze agli studenti della Scuola Normale, del Politecnico, ecc. Gli uditori sono entusiasti e fanno circolare sotto forma di dattiloscritti i suoi testi. Ad un certo punto, nel 1925, poiché ritiene necessario stabilire un accordo tra il dogma del peccato originale e le nuove scoperte della paleontologia, redige alcune pagine, dirette ad amici teologi di Lovanio, affinché vi riflettano. Definisce quanto scrive una semplice riflessione personale, priva di pretese dogmatiche. In effetti propone alcune ipotesi di lavoro che non hanno nulla di definitivo. Ma lo scritto arriva a Roma e Teilhard è pregato di lasciare la sua cattedra e di ripartire per la Cina. Egli scrive al suo amico, il Padre Valensin: «È fatta, mi spostano. Caro amico, aiutatemi […]. Ho fatto bella figura, ma interiormente è come un’agonia o una tempesta. È essenziale che io faccia vedere che se le mie idee sembrano innovatrici, mi rendono anche fedele».

La comprensione di amici carissimi, la fiducia del suo Provinciale e l’aiuto morale di Edouard Le Roy lo riportano gradatamente alla serenità. Scrive, infatti, testimoniando così la vittoria spirituale raggiunta: «Più esplicitamente e più realmente che prima della “crisi”, credo alla Chiesa “mediatrice” tra Dio e il Mondo e l’amo. E credo che ciò mi dia molta pace». I profeti, i veri profeti, non sono mai dei ribelli: semplicemente pagano di persona.

Proprio a questo punto la maturazione spirituale raggiunta lo induce a scrivere L’Ambiente Divino, il suo più completo compendio ascetico e mistico. Afferma: «Ho iniziato il mio futuro piccolo libro. Vorrei farlo lentamente, tranquillamente, vivendolo e meditandolo come una preghiera».

Resterà in Cina venti anni, lavorando al servizio geologico americano di Pechino, e parteciperà con eccezionale autorità alla scoperta del Sinantropo. In quel periodo, nel 1929, inizia anche le prime pagine della sua opera principale, Il fenomeno umano.

Altro importante avvenimento del periodo cinese è la “Crociera Gialla” che si svolge nel 1931. Si tratta di una famosa spedizione Citroën, in Asia Centrale: una carovana di auto cingolate con 42 uomini. In dieci mesi un gruppo compie la traversata dell’Himalaya mentre un altro, partendo da Pechino, attraversa la Cina per il deserto del Gobi. Teilhard è il geologo della spedizione e fa parte del secondo gruppo. Per l’epoca è un’impresa eroica, che passa attraverso difficoltà impensabili: vedi la traversata dell’Himalaya, vedi le volte in cui gli uomini del gruppo del deserto (tra i quali si trovava Teilhard) erano costretti a smontare le macchine insabbiate per trasportarle a spalla più avanti. Per Teilhard è l’occasione di importanti osservazioni geologiche, ma, e forse soprattutto, l’occasione per importanti osservazioni umane e religiose. In quel gruppo di tecnici e scienziati non v’era alcun cristiano che potesse dirsi tale, ma tanta ricchezza di valori, che Teilhard rispetta profondamente. La sua ansia di evangelizzare, forse proprio in quell’occasione, si modifica e si identifica ormai in questo atteggiamento: in ogni persona, anche non credente, «non distruggere niente, ma far salire, far crescere. Tutto ciò che sale converge verso Cristo».

Al rientro dalla “Crociera Gialla” compie dei viaggi di studio, in particolare nell’Oregon. Nel ’34 è nel Tibet, poi in India, nel ’36 è di nuovo a Pechino. Nel 1937 si reca negli Stati Uniti dove riceve, al Congresso di Philadelphia, la “medaglia Mendel” in riconoscimento dei suoi lavori. Ritornato a Pechino, compie spedizioni in Birmania e a Giava. Nel ’39 soggiorna sette mesi a Parigi. Poi un altro viaggio negli Stati Uniti e reimbarco per la Cina, dove fonda con il Padre Leroy l’Istituto di Geo-biologia di Pechino.

Padre Teilhard ha ormai 60 anni e una simile frenetica attività incomincia a segnare il suo fisico: è stanco. Lascia definitivamente la Cina che è sul punto di diventare la Cina Popolare; torna a Parigi, ma pur non lavorando più agli scavi, sul terreno, continua un’intensa attività scientifica e intellettuale. In particolare, partecipa al “Colloquio Internazionale di Paleontologia” di Parigi nel 1947; poco dopo è colpito da infarto. Ed ecco che applicando alla propria vicenda personale la sua universale visione di continuità del reale, che per lui costituisce una traiettoria unica che dal tangibile va a sfociare in ciò che è “al di là”, vive questo avvenimento come l’inizio dello sradicamento dal “Cosmico” per una inserzione sempre più progressiva nel “Cristico”.

Ma alla prova fisica si aggiunge di nuovo la prova morale. Da Roma gli chiedono un incontro: accetta con calma e anche con fiducia. Giunge a Roma il 5 ottobre 1948. Spiega le proprie idee, il proprio modo di interpretare la Rivelazione alla luce delle nuove conoscenze scientifiche, ma non viene capito. Gli si rifiuta la pubblicazione de Il fenomeno umano e gli si impedisce di accettare una cattedra al Collège de France. Ben inteso, i suoi superiori lo trattano con estrema bontà, Teilhard rimane uno dei figli prediletti della Compagnia di Gesù, ma questa non se la sente ancora di impegnarsi in prima linea su posizioni che i teologi ufficiali respingono. Essi infatti a quell’epoca non accettano l’idea dell’evoluzione; inoltre, e queste sono parole di Padre Teilhard, «a Roma non si vede l’opportunità né la garanzia di un’apologetica basata sulla fede nell’uomo. Per la Chiesa il solo valore per il futuro, ben sicuro, è la vita eterna».

Nel 1934 Teilhard aveva scritto: «Fa lo stesso per me che non mi si voglia pubblicare. Ciò che io vedo è smisuratamente più grande di tutte le inerzie e di tutti gli ostacoli». In effetti spesso aveva dichiarato che la sua unica ambizione era di fungere da pietra che viene gettata nelle fondamenta. Ed ora in effetti offre una grande testimonianza di vita con la sua fedeltà scrivendo: «Profondamente attaccato all’obbedienza, preferisco sacrificare tutto piuttosto che danneggiare l’integrità del Cristo». Ma la tristezza e la preoccupazione traspaiono da queste parole:

«Nel mondo intellettuale si fa sempre più profondo il fossato che separa teologi e scienziati. Le due parti non si capiscono più. Il mondo romano non coglie la distanza che lo separa sempre di più da altri ambienti di riflessione e di cultura? Vedo che le mie idee potranno solo comparire sotto forma di manoscritto e sotto banco. Il Signore farà Lui. Ma per un nuovo umanesimo che si rivolga all’avvenire, è assolutamente necessario un Cristianesimo approfondito e ripensato secondo il nuovo paradigma del mondo. »

Teilhard de Chardin rimane fedele nell’obbedienza alla Chiesa, ma fedele anche a se stesso. Non può rinunciare a “vedere” ciò che ha “visto”. Non rinuncia alla sua franchezza, e si rivela così una delle personalità più forti che la Chiesa abbia avuto: senza provocazioni, senza rivoluzioni, trasmette in modo inarrestabile una luce autentica. Come sostiene Claude Cuénot nella sua monumentale biografia di Teilhard, non c’è vita senza conflitto, ma la Chiesa è essenzialmente viva, dunque è normale (e anche fecondo) che ci siano delle tensioni tra la gerarchia e iniziative che paiono di primo acchito inquietanti e in opposizione con il modo di pensare e di fare ormai stabilito dalla Chiesa, anche se poi esse si riveleranno, in ultima analisi, ortodosse. Potremmo dire che Padre Teilhard de Chardin si è posto nella Chiesa non come un riformatore, ma come un “evolutore”. Il suo Cristo è Gesù Resuscitato che, anziché essere il padrone del cosmo, si rivela come il motore vivente della cosmogenesi. Con Teilhard abbiamo il cattolicesimo tradizionale più l’evoluzione, è il mistero dell’Incarnazione che riceve una dimensione in più, quella dello Spazio-Tempo, è San Paolo riletto dopo Lamark e Darwin.

E torniamo a quelli che sono ormai gli ultimi anni di vita di Teilhard. Da Roma gli viene ancora una volta chiesto di lasciare Parigi e, dopo un viaggio di ricerca nell’Africa del Sud sulle orme degli australopitechi, dal 1951 si stabilisce definitivamente a New York alla fondazione Wenner, dove prosegue i suoi studi. Ancora un viaggio scientifico nel Sud degli Stati Uniti, un altro in Sudafrica, poi nell’estate del 1954 soggiorna per l’ultima volta nella casa natale di Sarcenat.

Ritorna a New York, dove trascorre gli ultimi mesi della propria esistenza. La sua riflessione si affina ed egli sintetizza ancora una volta i grandi fili conduttori del suo pensiero redigendo Il Cristico, che è il suo testamento spirituale. Il 10 aprile 1955 una splendida giornata di primavera dopo aver celebrato la Messa, assiste alla Messa solenne nella Cattedrale ad un concerto, poi si reca St. Patrik. Nel pomeriggio va a casa di amici per il tè. Un nuovo dolorosissimo infarto lo fa crollare a terra. Si riprende per un attimo, poi spira.

Le sofferenze morali, il rendersi conto, come egli dice di «essere solo a vedere ciò che vedo!», hanno avuto va, un grande peso. Un peso tale che era giunto a fargli rasentare il dubbio. Confidenzialmente aveva scritto: «Sarò nel giusto, dal momento che la Chiesa non mi accetta (la Chiesa che mi è madre) e così pure la Compagnia? avrò ragione?»

Il 15 marzo 1954, durante un pranzo al Consolato di Francia, Teilhard aveva detto a dei suoi parenti: «Desidererei morire il giorno della Resurrezione!» M.lle Mortier, curatrice in Francia della pubblicazione postuma dei suoi scritti, ha ricevuto da una signora una lettera che Teilhard le aveva indirizzato pochi mesi prima di morire. In essa aveva espresso questo desiderio: «Se non ho preso abbagli, chiedo al Signore di morire il giorno di Pasqua».

Il 10 aprile 1955, domenica di Pasqua, Teilhard chiudeva gli occhi sulla primavera newyorkese.

Note biografiche tratte da: Annamaria Tassone Bernardi, Teilhard de Chardin La poesia del cosmo, ediz. Studium Roma, p.8-15