di p. Antonio Gentili
a cura di L. M. B.
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Fogazzaro non si nasconde il «carattere umano» che accompagna la Chiesa nei suoi ministri e nelle sue istituzioni,
cosa che la rende «ripugnante a molti» (p. 307), ma nel contempo egli rivendica il ruolo di quanti auspicavano la sua
indifferibile riforma. Non si parla di una «Ecclesia semper reformanda», come avrebbe confermato il Vaticano II? Fogazzaro
è consapevole del fatto che si scontrino nella Chiesa “intransigenti” e “riformisti” (p. 309. Cf p. 313). Benedetto,
il protagonista del romanzo, si fa portavoce di questi ultimi e denuncia «quattro spiriti maligni» che si sono annidati
nel corpo della Chiesa. Essi sono lo spirito di menzogna, di dominazione, di avarizia, di immobilità da parte del clero
(pp. 336-343). Un’immobilità che Fogazzaro si augura venisse infranta: di qui l’invito: «Scongiuro Vostra Santità – il
Papa – di uscire dal Vaticano. Uscite, Santo Padre» (p. 344).
Le impressioni che in seguito a un’udienza Benedetto ebbe dell’ambiente vaticano, sono considerate da Semeria
una «pittura meravigliosa e incredibilmente vera» (p. 380 e ss.). Fogazzaro – e il barnabita con lui – coglie l’«incommensurabile
grandezza della Verità Divina di fronte alla concezione religiosa [dei credenti] e insieme una fede così
certa di essere avviati a quella immensità…» (p. 456). Tutti siamo tenuti a compiere «un lavoro di purificazione della
fede e di penetrazione della fede purificata nella vita» (p. 464). «Non ci offenda – quindi, conclude il romanzo e noi
con esso – una fede impura, una fede imperfetta dove pura è la vita e giusta è la coscienza; perché rispetto alle
profondità infinite di Dio poca differenza vi è tra la fede della femminetta» e la fede di quanti ne hanno approfondito
le ragioni (p. 465).