*di Giorgio Marengo IMC

*Giorgio Marengo è Missionario della Consolata, da 16 anni in Mongolia. Qui è parroco della Parrocchia di Arvaikheer, dove si occupa di assistenza alle famiglie e ai bambini e svolge diverse attività di volontariato. È impegnato anche nel dialogo interreligioso e nello sviluppo di rapporti culturali fra Italia e Mongolia.
Il 2 aprile 2020 il Santo Padre Francesco lo ha nominato Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar (Mongolia), con carattere vescovile assegnandogli la sede titolare di Castra severiana.
Da Papa Francesco creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 27 agosto 2022, del Titolo di S. Giuda Taddeo Apostolo.
Pur non essendo un esperto di Teilhard, mi sono permesso di segnalare l’esistenza di una pubblicazione piuttosto originale che mi sono trovato tra le mani in Mongolia, dove mi trovo come missionario della Consolata da 16 anni. Il fatto mi ha incuriosito e spinto a darne notizia all’Associazione Italiana Teilhard de Chardin, attraverso questa semplice nota bibliografica, sperando di fare cosa gradita ai cultori del pensiero teilhardiano.
Il libro in questione s’intitola Teilhardism (Teuярòизм in Mongolo) e ruota attorno al pensiero espresso da Teilhard nella sua opera Il fenomeno umano. L’autore è il prof. A. Jambal (A. жамбал), docente di filosofia all’università nazionale di Ulaanbaatar, che nell’introduzione spiega di aver dedicato queste pagine (pubblicate nel 2006) a studenti e appassionati di Teilhardismo in genere; segno che la fama del gesuita dell’Auvergne è arrivata anche nella lontana Mongolia. Figurano come istituzioni coinvolte nella pubblicazione l’Istituto di Filosofia e Sociologia dell’Accademia delle Scienze di Mongolia e il Centro di Studi Mongoli A. Mostaert di Ulaanbaatar. Quest’ultimo ha da poco celebrato i primi 25 anni di esistenza e si propone di contribuire alla ricerca e al dialogo con la cultura mongola, volendo raccogliere l’eredità del missionario cattolico belga Antoon Mostaert (1881 1971), attivo in Inner Mongolia nella prima metà del Novecento e considerato uno dei padri dei moderni studi mongoli. Nella prefazione l’Autore spiega la lunga genesi del testo, che attinge alle fruttuose considerazioni sul Teilhardismo nate in ambito universitario già nei primi anni Novanta del secolo scorso, quando con la caduta del Comunismo cominciava a farsi strada un maggior interesse per autori occidentali, prima inaccessibili. Quelle note non poterono andare in stampa per le ristrettezze economiche di quei tempi difficili, ma il Prof. A. Jambal ritenne di dover comunque portare a compimento il progetto, riorganizzando e sintetizzando il materiale e dandogli la forma finale.
Dopo una presentazione del personaggio Teilhard – con una breve ma completa nota biografica l’Autore presenta il Teilhardismo. Per poterlo fare nota che è importante mantenersi equidistanti dai punti di vista ideologici dai quali questo pensiero è stato spesso affrontato. Altrimenti si rimane facilmente preda di critiche come quella mossa dai filosofi marxisti, che accusavano Teilhard di esser prigioniero e “servo” del pensiero cattolico e di aver voluto maldestramente dare qualche apparente prova di scientificità alle posizioni ormai superate della Chiesa, che invece si aggrappava al neotomismo. Per capire cosa s’intenda per Teilhardismo occorre dunque superare queste ermeneutiche ideologiche, per cogliere invece il senso del suo concetto-chiave: quello di evoluzione. Quanto al metodo seguito, l’Autore sottolinea l’approccio sintetico seguito da Teilhard, dove s’intrecciano scienza, filosofia e teologia.
Il libro si divide in tre parti, nelle quali l’Autore riassume il pensiero di Teilhard, tematizzandolo intorno all’origine ed evoluzione dell’universo (1), alle questioni storiche e socio-filosofiche legate al fenomeno umano (2) e alla supervita e alle questioni sul futuro dell’uomo (3). Dalle conclusioni si percepisce l’imbarazzo che l’autore prova di fronte al ripetuto incrociarsi di pensiero scientifico e di prospettiva religiosa, intreccio ritenuto evidentemente “sospetto” da un professore di filosofia formatosi in pieno regime filo-sovietico (la Mongolia ha conosciuto 70 anni di socialismo reale, da poco superati); questo a suo avviso un aspetto di debolezza del lavoro di Teilhard. Tuttavia poche righe più avanti si legge la grande ammirazione per il pensiero teilhardiano, a cui si riconosce il merito di aver messo in luce il ruolo centrale dell’uomo nell’evoluzione dell’universo e soprattutto il suo “mandato” di orientare se stesso e il mondo intero verso quel punto omega che l’Autore riassume in un fine di amore e benevolenza universali.
Mi pare di cogliere in questa considerazione finale un “guizzo” di quella originalità del pensiero mongolo, abituato a cogliere il meglio delle tradizioni altre rispetto alla propria e istintivamente restio a rassegnarsi alla frammentazione del sapere scientifico contemporaneo, a favore invece di un approccio olistico in cui ritrovare il senso del vivere umano. Interessante è notare come agli occhi di un filosofo mongolo Teilhard si offra come interlocutore degno di particolare attenzione, un pensatore che ha qualcosa da dire anche a chi viene da un mondo culturale così originale come quello mongolo, decisamente impregnato di buddhismo tibetano, oltre che di cultura nomadica. Segno che la profondità del pensiero teilhardiano offre spunti di approfondimento anche dell’ambito del dialogo interreligioso, al quale soprattutto stiamo volgendo il nostro impegno missionario.