di Angelo Tartabini
Per il filosofo l’intelligenza artificiale non sarà mai come quella umana.
I filosofi della mente, ma soprattutto neuroscienziati, psicologi, biologi e altri studiosi, dovrebbero riflettere, più di quanto abbiano fatto fino adora, sul pensiero di John Searle, un noto e controverso filosofo americano, originalissimo e contro corrente, e ancora attivo, nonostante la veneranda età di 92 anni. Non è indispensabile essere degli esperti della mente per affrontare i suoi ragionamenti, tra l’altro molto provocatori, ma, secondo il mio modesto parere, mai campati in aria. La filosofia della mente, dice Searle, dovrebbe costituire l’aspetto centrale della filosofia dei nostri tempi, mentre, di fatto, non lo è. Dopotutto è la mente che ci collega al mondo esterno, non viceversa, e sarebbe meglio sapere come si relaziona con esso.
Per quanto concerne le funzioni psicologiche più importanti come le sensazioni, le percezioni, il pensiero, la memoria a breve e a lungo termine, l’attenzione, le motivazioni, le illusioni, gli stati intenzionali eccetera, questi non sono aspetti della nostra vita, come noi crediamo, ma sono la nostra vita.
È vero, non è facile condividere pienamente le idee di Searle. Egli è convinto che gli argo menti più importanti e attualissimi, come il determinismo, il funzionalismo, la computazione, l’epifenomenismo e le scienze cognitive in generale, siano tutti inconsistenti e insostenibili. E aggiunge anche che le scienze cognitive dovrebbero essere rifondate!
Per quanto concerne la computazione, noi esseri umani non siamo come dei computer in grado di elaborare algoritmi: un calcolatore sette per sette lo calcola in maniera diversa da una mente umana: somma sette volte il numero sette e si ferma alla settima volta; noi, da quando abbiamo imparato la tabellina, non lo facciamo in questo modo. Qualsiasi macchina che si comporta come noi, non solo per fare somme e moltiplicazioni, dovrebbe avere una mente cosciente come la nostra. Ma una mente come la nostra non ce l’ha e mai l’avrà. Il fatto è che il mentale è una proprietà del nostro cervello, non è il cervello, sopravviene ad esso e non può essere ridotto ad altro.
Searle sbriciola come friabili biscotti tutte le convinzioni che si sono radicate nel nostro cervello sin da bambini, da quando abbiamo cominciato a parlare, a causa di cattivi maestri di cui le scuole e il mondo sono pieni. Dalle elementari ci hanno sempre inculcato, e si continua su questa linea, l’idea che al mondo esistono due realtà, quella fisica e quella mentale e che quest’ultima non debba e non possa essere indagata scientifica mente. A dire il vero alcuni scienziati hanno sostenuto che le realtà non siano due ma tre, il fisico, il mentale e la realtà dei numeri (altri ancora, al posto dei numeri, hanno messo le realtà culturali), per non parlare di altre stravaganze messe in campo da alcuni funzionalisti, come il solipsismo (al mondo esistono solo i miei stati mentali, non quelli degli altri) e il panpsichismo che sostiene l’ubiquità nell’Universo della co scienza. Tutto è cominciato con il dilemma «mente corpo» (hard problem) sollevato in primis da Cartesio, più di tre secoli fa. Il fatto, semmai, dice Searle, è quello di svelare come da processi fisici che avvengono nel nostro cervello si possano produrre eventi mentali.
Si può fare riducendo le nostre attività neurali al minimo, cioè al funzionamento dei singoli neuroni o addirittura delle strutture e delle sostanze che costituiscono queste cellule (citoscheletro, microtubuli, molecole di tubulina eccetera)? Ovviamente NO. Qualcuno ci ha provato con la meccanica quantistica, ma quali sono stati i risultati? In concreto, nessuno. Che molti scienziati si incaponiscano nelle loro pretese è dovuto al fatto che cercano di dare, ad ogni modo, delle risposte, ma risposte di ogni tipo: materialistiche, eliminativistiche, monistiche, meccanicistiche, funzionalistiche, addirittura verificazionistiche (tutto ciò che non si può dimostrare scientificamente non esiste), persino vitalistiche (che è ancora peggio). Invece di fornire delle spiegazioni scientifiche sulla mente, non vogliono rinunciare alle loro posizioni anche se sono con sapevoli della debolezza delle loro teorie o, come dice Searle, peggio ancora, menando il can per l’aia. Tempo fa ci avevano provato i comportamentisti secondo i quali gli stati mentali sono solo disposizionali, quindi cancellando la mente e anche la coscienza da ogni individuo animale o umano che sia. In realtà negli animali non solo esistono, ma sono ontologicamente e irriducibilmente soggettive quanto le nostre. Il fatto più grave è che questa scuola (il comportamentismo), tipicamente americana, pragmatica e materialistica, ha preso forma in America poco prima della Seconda guerra mondiale e ha diffuso i suoi virus «nefasti» tra gli psicologi di tutto il mondo, soprattutto in Europa.
Il comportamento di ogni individuo è assolutamente irrilevante per un’ontologia soggettiva della mente. Come infatti sappiamo bene (soprattutto noi esseri umani) possiamo avere in mente un certo comportamento e poi manifestarne un altro. In questo noi uomini siamo degli specialisti, molto più degli animali. Ciò che è ancora più grave è che con il sopravanzare dell’Intelligenza Artificiale (AI) molti scienziati, figuriamoci la gente comune, siano arrivati ad accettare degli aforismi molto pericolosi, del tipo: «la mente sta al cervello come il programma implementato in un calcolatore sta al suo hardware».
Dal momento che sappiamo molto bene, per esempio, che i nostri desideri, le nostre credenze, le nostre speranze sono parte integrante delle nostre esperienze coscienti, dove, secondo l’Intelligenza Artificiale, esse, semmai si possano implementare in un computer, vanno a finire? Il fatto di cui non ci rendiamo conto è che noi esseri umani, e in parte anche gli animali, le scimmie in particolare, abbiamo la certezza di essere coscienti, mentre il computer no; persino quando dormiamo persiste un minimo di attività corticale del nostro cervello, per esempio quella onirica, e quindi, anche se in parte, restiamo coscienti. Se non lo fossimo, vorrebbe dire che non ci sveglieremmo più! Il fatto di essere coscienti che Sergio Mattarella sia il nostro Presidente, non vuol dire che quando dormiamo egli non sia più tale, continua a esserlo e, ciò che è più importante, continua a esistere nella nostra mente. Se nessuno per ora è riuscito a dimostrare come questo possa succedere è perché ancora non sappiamo pienamente, e in tutta la sua complessità, come funziona il nostro cervello. Quando sapremo, se mai lo sapremo, che cosa voglia dire e significhi avere una mente cosciente, che cosa voglia dire avere un’ontologia soggettiva del mentale, forse dormiremo sonni più tranquilli.
Torniamo a Cartesio. Egli era convinto che gli animali non avessero una mente cosciente o che fosse scientificamente improbabile dimostrare che potessero possederla. Disse che gli animali, non possedendo il linguaggio articolato come noi esseri umani, non possono comunicare coscientemente agli altri il loro pensiero, quando sappiamo che, almeno alcuni di essi, per esempio gli scimpanzé, possono comunicarci il loro pensiero con il linguaggio dei segni che apprendono con una discreta facilità, se gli viene insegnato bene. Certo, Cartesio non poteva prevedere questa possibilità, ma che gli animali avessero una intelligenza e quindi una mente questo sì. Forse l’ha pensato, ma dati i tempi in cui visse, la prima metà del XVII Se colo, durante la Guerra dei trent’anni (1618 1648) tra gli Stati europei cattolici e protestanti, gli sarà sembrato più prudente non pronunciarsi al riguardo.