Intervista fatta al gesuita Leandro Sequeiros professore emerito di paleontologia presso l’Università Pontificia Comillas di Madrid (Spagna)
Questo tema richiederebbe molto tempo per trattarlo. Presumo che la domanda si riferisca alla fede religiosa cristiana. In un certo senso, la parola “fede” può avere un significato “laico”. Ogni essere umano ha “fede” in qualcosa (idee, valori, sentimenti, che non passano attraverso il filtro della ragione). Così, il filosofo della scienza Karl Popper, che era agnostico, fu accusato di “fideismo”, di credere in certi principi indimostrabili da cui è costruita la scienza. Credere nella razionalità umana, credere nella possibilità di conoscere la natura, credere che esista una regolarità nei processi naturali, presuppone già una fede nelle cose fondamentali su cui si costruisce tutto il resto.
Storicamente, a partire dal XVI secolo, iniziò un apparente conflitto tra scienza e fede cristiana. Tutti ricordiamo Copernico e Galileo. Galileo diceva (nella sua lettera a Cristina de Lorena, nel 1615) che non deve esistere conflitto tra scienza e fede. La scienza ci insegna COME È il cielo e la fede ci insegna COME CI SI VA IN CIELO…
Nel 1874 fu pubblicato in Inghilterra un libro controverso in cui si evidenziava come irrisolti i conflitti tra le conoscenze fornite dalla scienza e quelle delle religioni. Si tratta del libro di John William Draper, intitolato Historia de los conflictos entre la Ciencia y la Religión (Storia dei conflitti tra Scienza e Religione). In Spagna è stato ampiamente diffuso come strumento per la trasmissione di idee materialiste. La prima edizione spagnola è del 1885, con un prologo di Nicolás Salmerón, filosofo e politico “rivoluzionario” di Alhama di Almería. Draper non si riferisce solo ai casi della Chiesa cattolica, ma anche ai casi dell’Islam e persino dell’antico Egitto, per dimostrare questa tesi: che le idee religiose sono sempre state contrarie al progresso e al benessere dell’umanità e sono state utilizzate per scopi ideologici e controllo politico del popolo. Pertanto, tra conoscenza scientifica e fede religiosa non può esistere nessun accordo. Si escludono a vicenda come l’acqua e l’olio. Uno scienziato deve necessariamente essere ateo[1]
Tuttavia, i grandi “filosofi della natura” (gli antichi scienziati, come Copernico, Keplero, Francis Bacon, Galileo, Cartesio, Pascal, Leibniz, Newton) furono grandi credenti. Il professore Antonio Fernández Rañada [(2008), Los científicos y Dios, Trotta (Gli scienziati e Dio)], conclude che gli scienziati sulla questione di Dio “assumono posizioni molto diverse e personali, più positive in generale di quelle accolte dalle opinioni culturali correnti”. Anche la rivista Muy interesante (aprile 2000) si chiede in copertina: “Scienza e religione, nate per capirsi? È possibile un dialogo tra fede e scienza?” In un sondaggio pubblicato su Nature nel 1997, si evidenzia che negli Stati Uniti il 39,3% degli scienziati intervistati credono in Dio, il 45,3% non crede e il 14,5% dubita. Il 38% crede nell’immortalità e il 46,9% non ci crede.
Come dovrebbero interagire scienza e religione?
Negli ultimi anni si è generato, soprattutto negli ambienti protestanti liberali nordamericani, un serio tentativo di avvicinare sapere scientifico ed esperienze religiose. Molte informazioni si possono trovare sul sito web della Cattedra Scienza-Tecnologia-Religione dell’Università di Comillas e sul sito web dell’Istituto Metanexus per la Scienza e la Religione. All’interno di ciò, uno degli autori più chiarificatori è Ian G. Barbour [(2004), El encuentro entre ciencia y religión: ¿rivales, desconocidas o compañeras de viaje?, Sal Terrrae, (L’incontro tra scienza e religione: rivali, estranei o compagni di viaggio?)]. Barbour sistematizza le posizioni storiche che hanno messo in relazione la fede cristiana e la scienza in quattro punti:
1. Conflitto: la posizione che approfondisce il conflitto (e, quindi, l’impossibilità del dialogo) si è manifestata principalmente nel XIX secolo sotto l’influenza del libro di J. W. Draper. Questa lotta aperta fu alimentata, da un lato, da una posizione di rozzo materialismo scientifico e, dall’altro, da un letteralismo biblico fondamentalista che rendeva impossibile ogni tipo di incontro.
2. Indipendenza: un’altra delle posizioni tra fede cristiana e scienza è quella dell’indipendenza, così come l’ha difeso modernamente Stephen Jay Gould [(1999; spagnolo, 2000) Ciencia versus religión. Un falso conflicto, Crítica, colecc. Drakontos, (Science versus religione. Un falso conflitto)]. Secondo questa, sono due magisteri diversi, con metodologie diverse e obiettivi diversi, per cui, non potranno mai incontrarsi. Molti cristiani evangelici e cristiani conservatori sostengono questa posizione. Scienza e religione non si incontrano e la scienza dell’evoluzione è altrettanto scientifica quanto la scienza della creazione.
3. Dialogo: la posizione del dialogo assume relazioni costruttive tra scienza e religione che devono superare i conflitti o l’indipendenza. Si ubica gradualmente verso una posizione più integrativa. Il dialogo presuppone l’accettazione da entrambe le parti dei limiti della conoscenza scientifica e della conoscenza teologica ed esplora le somiglianze tra i metodi della scienza e quelli della religione, analizzando i concetti ponte che consentono relazioni transdisciplinari.
4. Integrazione: come culmine di questo processo di dialogo è l’emergere di nuove formulazioni che costituiscono quella che viene chiamata interdisciplinarità, un tentativo di rielaborazione concettuale e metodologica, che consente di accettare la complementarità dei saperi all’interno di un universo di limiti diffusi, ma che accetta la legittima autonomia di ciascuna disciplina. Non si tratta tanto di costruire ponti quanto di fare una costruzione tollerante e plurale di interpretazioni del mondo sempre provvisorie ed eticamente elaborate. Nel passato, fu la cosiddetta Teologia Naturale che stabilì i costrutti teologici basati sui dati delle scienze empiriche. Più modernamente, c’è il tentativo chiamato Teologia della Natura, secondo il quale i concetti teologici vengono rielaborati all’interno dei macro-paradigmi sviluppati dalle scienze, in modo che siano comprensibili agli umani del nostro tempo. Non c’è dubbio che il Vaticano II nella Gaudium et Spes ha realizzato notevoli sforzi di rilettura teologica della realtà sociale e naturale.
Lei pensa che sia necessario e possibile un incontro tra scienza e tradizioni religiose?
Per molti filosofi, scienziati e anche appartenenti a religioni, NON c’è possibilità di accordo, dialogo né incontro tra il sapere scientifico e la religione o la teologia. Nella migliore delle ipotesi si può raggiungere un patto di non aggressione. Alcuni lo giustificano dicendo che l’autentico metodo di conoscenza è quello della razionalità scientifica, il metodo ipotetico deduttivo. Pertanto, la religione appartiene al campo delle convinzioni non dimostrabili.
Il Vaticano II riconosce (Gaudium et Spes, 30) che la scienza è pienamente autonoma e che la conoscenza scientifica gode dell’autonomia della ragione e che, quindi, la teologia non è nemmeno un criterio negativo per le affermazioni scientifiche. Ma, assumendo questa autonomia, è necessario uno sforzo di dialogo e di integrazione. Giovanni Paolo II, nel Messaggio inviato a P. George Coyne, Direttore dell’Osservatorio Vaticano, nel 1987, in occasione della celebrazione del terzo centenario della pubblicazione dei Principia Matematica Philosophiae Naturalis di Isaac Newton, affermava chiaramente quale dovrebbe essere il punto di partenza per il dialogo e l’integrazione tra scienza e religione:
«La scienza può purificare la religione dall’errore e dalla superstizione; la religione può purificare la scienza dall’idolatria e dai falsi assoluti. Ciascuna può attrarre l’altra verso un mondo più vasto, in cui entrambe le parti possono fiorire».
Come tratta una persona religiosa il resto della comunità scientifica?
Se la domanda si riferisse a come viene accettato un credente all’interno della comunità scientifica, ci sarebbe molto da dire. Dipende molto da come è ogni scienziato e da come è ogni scienziato che è anche credente. Ci sono scienziati atei o agnostici aperti al dialogo e ci sono quelli che non ammettono la minima possibilità di dialogo. Allo stesso modo, ci sono scienziati credenti intransigenti e scienziati credenti capaci di dialogo.
Ciò che è chiaro è che gli argomenti scientifici non possono provare l’esistenza di Dio e nemmeno la non esistenza. Gli scienziati non credenti non lo sono a causa della scienza, bensì motivati da altri diversi fattori esistenziali. La fede religiosa (come la percezione della bellezza in una sinfonia di Beethoven) non dipende da argomentazioni scientifiche, ma dalla capacità di percepire la bellezza che alcuni hanno e altri no.
Oggi è più intenso il tentativo da parte di scienziati e credenti di un avvicinamento, di un dialogo, che permetta di trovare spazi comuni, un punto di incontro, come già proposto da san Giovanni Paolo II.
Quali sono stati i rapporti tra scienza e religione? Ha senso oggi una riflessione su queste relazioni? Quali sono oggi i grandi temi del conflitto e del dialogo tra scienza e religione?
Se con il Rinascimento e, soprattutto, con l’Illuminismo nel Settecento si accentua il divario tra scienza e teologia, tra credenze e ragione, tra cristianesimo e modernità, attualmente gli orizzonti sono più promettenti. Proprio di recente ho pubblicato un ampio articolo su questo argomento [(2018), 40 años de Ciencia y Teología en España (1978-2018): una perspectiva esperanzadora, Carthaginensia, XXXIV, 66, 403-434]. Qui puoi trovare alcuni indizi su questo argomento.
Questo tema è anche oggetto di un progetto in corso portato avanti dall’ Osservatorio Vaticano e dal Center for Theology and Natural Sciences (CTNS) di Berkeley che, ad oggi, ha avviato la pubblicazione di cinque volumi di 400 pagine ciascuno: Cosmología cuántica y leyes de la naturaleza (1993), Caos y complejidad /em>(1995), Biología evolutiva y molecular (1995), Neurociencia y la persona 1999) y Mecánica cuántica (2001).
Lei, attualmente, è cappellano della Residencia para Mayores San Rafael (Residenza per Anziani San Rafael), aiuta il parroco di San José quando hanno bisogno, continua ad impegnarsi in diversi progetti internazionali di aiuto alle comunità bisognose e continua a scrivere. Da dove prende la motivazione, le forze e l’entusiasmo?
È insolito che la Compagnia di Gesù nel Settore Sociale includa una Residenza per anziani. Tuttavia, da venticinque anni la Residenza San Rafael è in funzione a quindici chilometri da Siviglia, nella città di Dos Hermanas. E neanche è usuale che vi risieda il cappellano, che vive e condivide anche la mensa e la vita con i cinquanta residenti (80% donne). Si tratta di un’esperienza vitale e spirituale che rende le nostre vite diverse.
Il cappellano coabita (il che significa che partecipa anche lui alle attività della Residenza, pur avendo le sue funzioni specifiche, come celebrare l’Eucaristia, collaborare con la direzione, dialogare con le famiglie, fare alcune celebrazioni speciali, accompagnare nelle malattie e nella morte,…) e, inoltre, condivide, cioè ascolta costantemente i problemi degli anziani, molti dei quali con scarse risorse economiche, ascolta le famiglie, le aiuta e cerca di risollevarne il morale nei momenti critici …
Insomma, non ci si può rilassare o lasciarsi andare perché c’è ancora molto da fare.
Traduzione dallo spagnolo della prof. Lilian Landriel.
[1] In questa frase metterei: “Per questo autore”… uno scienziato deve necessariamente essere ateo (ma per rispetto di chi ha scritto il presente articolo ho lasciato la traduzione letterale.