Dolce, gentile, sorridente: sono gli aggettivi che ricorrono più spesso nel ricordo di Dana Němcová, una delle protagoniste del dissenso ceco, scomparsa l’11 aprile scorso. La sua vita si è spesa per i 7 figli, per i «disperati» degli anni ’70 e i profughi del nostro tempo.
Dana nasce a Most (Boemia settentrionale) il 14 gennaio 1934 dalla famiglia Valtr, di umili origini, pochi anni prima dell’annessione delle regioni confinarie dei Sudeti al Reich hitleriano. Come altre famiglie, di fronte al burrascoso clima sociopolitico, i Valtr preferiscono trasferirsi temporaneamente all’interno del paese. Ma dopo la liberazione l’ondata di radicalismo nazionalista, fomentato dalle stesse autorità cecoslovacche, porta all’espulsione di circa due milioni e mezzo di tedeschi accusati collettivamente di collaborazionismo. La ragazzina si scontra così con il primo episodio di violazione dei diritti umani della sua vita, e ne rimane sconvolta: «Dopo la guerra tornai con i miei genitori nelle terre di confine, da dove eravamo partiti nel ‘38, e alcune esperienze mi convinsero che qualsiasi svolta degli eventi, soprattutto se vittoriosa, può far emergere la ferocia, anche in persone da cui nessuno se l’aspetterebbe».