di Marina Zaoli
“Il male, effetto secondario, sotto-prodotto inevitabile, della marcia di un Universo in evoluzione” [1]
Molti si sono chiesti, all’inizio di questa nuova pandemia: ma non ci libereremo mai dal male nel mondo?
Dal Male con la lettera maiuscola, rappresentazione simbolica storica di un’entità personificata che vaga per il mondo per portare devastazione e morte?
E’ Dio che ci vuole castigare?
Se guardiamo con un’ottica teilhardiana, nessuna di queste domande mantiene un significato.
Anno 2019. In una realtà occidentale, ma anche mondiale, che stava a malapena riprendendosi da due gravi crisi economiche[2] e stava lottando per risolvere l’altrettanto grave problema di una migrazione, dai paesi più poveri a quelli più ricchi e politicamente più stabili, ecco arrivare improvviso, dalla Cina, un virus che non aveva ancora mai infettato l’uomo e di cui non si sapeva niente.
Nonostante sia costante e caratteristica la presenza, all’incirca ogni 100 anni, di una qualche forma di malattia che si diffonde in tutto il mondo, sembra che l’umanità sia ancora impreparata all’evento. Molte cose però stanno cambiando.
Le pandemie del passato, per cui non c’era una vera cura, hanno molto probabilmente cambiato il corso della storia. Sarà da vedere nei prossimi anni cosa ha prodotto il Covid19, ma se vogliamo essere ottimisti come teilhardiani e come cristiani, proviamo a valutare gli eventi in modo scientifico, evoluzionistico e da veri credenti, che non accettano le ipotesi di un Dio punitivo che colpisca l’umanità con strali infetti, portatori di morte (cfr. più avanti in Omero).
Un po’ di storia
Fino a che gli uomini vivevano in piccole comunità, le malattie avevano difficoltà a diffondersi, ma, mano a mano che nella storia umana sono aumentate le possibilità di spostamento di gruppi di persone, è stato gioco facile per virus e batteri potersi espandere da una zona all’altra della terra, per cui le forme epidemiche infettive si sono velocemente spostate e allargate. Da un certo punto, poi, sono anche state riportate e descritte.
Fu Ippocrate, 2400 anni fa, che fece la prima descrizione di una malattia con sintomi simili all’influenza a cui diede il nome ‘Kolera’ e che, con i canoni dell’epoca, suppose derivasse da uno squilibrio dei quattro umori che costituivano il corpo. Sicuramente però tutte queste forme batteriche e virali hanno iniziato ad esistere, non solo insieme, ma molto probabilmente prima dell’uomo, e poi a infettarlo.
La prima epidemia riportata negli archivi storici è stata la peste cosiddetta di Giustiniano (541-2 d.C.), che iniziò a Costantinopoli, allora capitale dell’Impero d’Oriente, in un periodo ricco e di grande splendore per l’Impero, e che uccise quasi il 40% della sua popolazione, si stima intorno a 4 milioni di persone. Questo portò anche ad una grave crisi economica e ad una tale frattura tra il mondo precedente e quello che ne risultò dopo, da sancire praticamente la fine del mondo antico classico e l’inizio del Medioevo. Fino al 750 d.C. si presentarono poi altre ondate di malattia, ma meno gravi. La peste è causata da un batterio, la Jersinia Pestis, che può attaccare diversi punti dell’organismo e si è manifestata, quindi, nei vari periodi e nelle varie epidemie in maniera diversa. Esiste infatti la peste bubbonica, che si trasmette col morso di una pulce infetta, quella setticemica, quando il bacillo si espande dai linfonodi a tutto l’organismo, e quella polmonare, che è localizzata nei polmoni e viene trasmessa per via aerea.
La forma setticemica, quasi un millennio dopo, intorno alla metà del 1300, fece verificare un’altra gravissima pandemia. Anche questa si diffuse molto velocemente e addirittura si stima che il mondo conosciuto abbia perso più della metà dei suoi abitanti, tanto che la popolazione europea passò da 80 a 30 milioni di persone. Di questo morbo c’erano già stati alcuni focolai, sebbene più ridotti e non a livello pandemico, ma non si era ancora riusciti a capire che la malattia era diffusa dai topi e dai ratti, anche da quelli che stavano dentro le navi, per cui, senza alcun controllo, viaggiava rapidamente in ogni parte del mondo. Non aveva comunque possibilità di cure se non le difese immunitarie naturali personali. Questa peste fu soprannominata “la morte nera” in quanto si manifestava con la necrosi delle estremità degli arti, sia superiori che inferiori, che quindi diventavano neri. In Italia, a Venezia, la peste del ‘300 fu micidiale, anche perché i commerci con l’oriente erano molto floridi. Fu in questa occasione che nacque il termine ‘quarantena’, in quanto le navi dovevano sostare fuori del porto per 40 giorni per scongiurare il pericolo di contagio, che allora era stato calcolato in questo modo.
La peste descritta dal Boccaccio corrisponde all’ondata di peste nera del 1348.
Altre ondate di malattia si ripeterono a intervalli quasi regolari di un secolo l’uno dall’altro, 1400, 1500, 1600 (la peste di Milano descritta dal Manzoni). In quella del 1423 a Venezia si contarono ad opera della peste fino a 40 morti al giorno e pare sia stato in quell’occasione che vennero istituiti i lazzaretti (utilizzati poi anche per la lebbra), costruiti sia per curare, sia prevalentemente per isolare i malati.
Il termine ‘lazzaretto’ sembra derivi da una deformazione dialettale di ‘Nazareth’ perché fu costruito sull’isola di Santa Maria di Nazareth, o anche dal Lazzaro resuscitato dal sepolcro (Giovanni 11,1-44) o dal Lazzaro coperto di piaghe leccate dai cani (Luca 16, 19-21) eletto poi a protettore dei lebbrosi. Sempre a Venezia in quel periodo venne inoltre istituito un organo di sorveglianza per monitorare il diffondersi e la gravità della malattia. Le informazioni venivano raccolte da un magistrato della sanità, pubblicate e condivise con gli altri stati, in modo da cercare di avere un controllo dei flussi epidemici.
Fu solo nel 1894 che il medico svizzero, Alexandre Yersin isolò il batterio Jersinia e capì la correlazione esistente tra la peste e i roditori (a loro volta infettati da una pulce), dato che ancora nel XIX secolo c’erano casi di peste, seppur molto più rari, in quanto si erano diffuse una maggiore cultura igienica e più attenzione e cura nella sanità pubblica.
Un discorso a parte deve essere fatto per la lebbra.
La storia di questa malattia inizia nella notte dei tempi, alcuni studiosi la ricollegano addirittura alla storia della specie umana.
Il nome ‘lebbra’ deriva dal greco λέπρα «squama» o «elefantiasi» e il suo luogo di origine è dubbio fra India e Africa. Il reperto più remoto di cui disponiamo è lo scheletro di un uomo di mezza età, rinvenuto nel sito archeologico di Balathal in India e risalente al 2000 a.C. Anche in Cina, nel II sec. a.C., vengono descritte lesioni cutanee che, riferite come anestesiche, fanno pensare ad un caso di lebbra.
La lebbra, così come anche il tifo, esistevano prevalentemente in maniera endemica, sebbene siano potuti esplodere a volte in forme epidemiche. Potrebbe essere questo il caso ossevato in un sito archeologico nel nord-est della Cina: in un insediamento risalente al 3000 a. C., si sono trovati i segni di una epidemia talmente rapida da non aver concesso il tempo per sepolture adeguate, come era successo per l’epidemia di AIDS in Africa negli anni ’90, dove la visione aerea dei villaggi era completamente cambiata a causa dell’allargamento delle aree cimiteriali. Altri resti umani con segni di lebbra sono stati ritrovati anche in alcuni siti in Pakistan (secondo millennio a. C.), però sappiamo che la lebbra era presente anche in Grecia, in Egitto e in Cina.
Anche Omero nell’Iliade, 750 a. C. narra come durante la guerra di Troia, datata a circa cinque secoli prima, ci fosse stata una terribile pestilenza mandata agli uomini dal Dio Apollo, che lanciò frecce mortali, portatrici dell’orrenda malattia nell’accampamento, come punizione per le loro azioni malvagie.
Pare quasi con certezza che Alessandro Magno nel IV sec. a.C. l’abbia importata dall’India in Europa e che con Pompeo sia arrivata a Roma dalla Grecia e dall’Asia. A Roma la lebbra fu descritta da Celso (25 a.C.) e da Plinio il Vecchio (23 d.C.).
Gli antichi testi Veda indiani del XV sec. a.C. riportano generiche istruzioni per la prevenzione di una malattia che sembrerebbe lebbra e che viene descritta anche in un testo del VII sec. a.C.in maniera sufficientemente esaustiva da farci supporre questa diagnosi.
La lebbra è causata da un micobatterio, il Mycobacterium Leprae o Bacillo di Hansen (dal dermatologo norvegese G. H. A. Hansen che la isolò per la prima volta nel 1868), ha un tropismo prevalente per i nervi periferici, la cute e le mucose oro-faringee e nasali, per cui produce lesioni cutanee polimorfe, e una neuropatia periferica che dà le parestesie da cui possono dipendere le caratteristiche mutilazioni. Non è una malattia particolarmente contagiosa, ma colpisce principalmente persone defedate, denutrite o con diminuite difese umanitarie. E’ però molto insidiosa perché i suoi sintomi possono manifestarsi anche 10 anni dopo il contagio, impedendo così la correlazione con le persone che possono averla trasmessa. Il danno che si verifica a livello dei nervi periferici, toglie la sensibilità e anche il trofismo delle parti più distali del corpo, per cui subentrano mutilazioni alle mani, ai piedi, al naso e alle orecchie che creano in queste persone un aspetto spaventoso e ripugnante, motivo per cui venivano allontanati.
Fu solo dal V -VI sec. che si scoprì che la lebbra era contagiosa e (allora) incurabile, per cui si promulgarono delle norme che stabilivano che i malati dovevano essere reclusi nei lebbrosari. [3]
Nel 603 il re longobardo Rotari emanò un editto che stabiliva che i lebbrosi, una volta riconosciuti tali dai giudici e dal popolo, dovevano essere espulsi dai centri abitati. La lebbra infatti, proprio per le piaghe e il tessuto necrotico che produce, emana un insopportabile fetore. I lebbrosi dovevano quindi rendersi riconoscibili e abitare fuori dalla città, dovevano annunciare il loro arrivo col suono di campanelli e sonagli, non potevano toccare le cose.
Nel Medioevo la lebbra fu la malattia più temuta e più diffusa dall’ XI al XIII secolo, ma la diffusione massima si ebbe nel XII-XIII sec. e raggiunse il suo picco più alto in rapporto allo svolgimento delle Crociate e alla conseguente diffusione per contagio dell’epidemia anche in molti paesi dell’Europa del Nord. Lebbrosari sorsero ad opera dei Vescovi e dei comuni.
Per scongiurare la lebbra venne creato un apposito rito e promulgato uno statuto con cui si decretava e notificata la morte civile del lebbroso che doveva comparire davanti a un tribunale per poi essere recluso in un lebbrosario.
Finalmente nel XIV secolo l’epidemia in Europa iniziò a regredire, ma i lazzaretti furono ancora utilizzati per la comparsa di nuove malattie: vaiolo, tifo petecchiale, peste bubbonica, fuoco sacro etc. Nel XI-XIII secolo in Europa i lazzaretti, detti «città maledette», ammontavano a circa 19.000, specie in rapporto allo svolgimento delle Crociate.
Anche in Italia ne furono edificati molti, particolarmente nelle principali città: Venezia, Roma, Verona, Cagliari, Livorno, Milano, Parma, Trapani, Ancona etc.[4]
Dal XV sec. si verificò una lenta regressione spontanea della lebbra che infine, dal XVII sec., abbandonò definitivamente l’Europa per diffondersi nell’America Latina. Il declino della lebbra in occidente potrebbe forse essere imputabile, oltre che alle trasformazioni religiose e socio-economiche del XV sec., anche all’impennata della tubercolosi, con probabile immunizzazione crociata fra le due mycobatteriosi.
Nel XVII secolo si diffuse in maniera pandemica anche il vaiolo che era molto contagioso e che portò i tassi di mortalità fino al 30%. Il vaiolo era una malattia virale già nota da almeno 10.000 anni in forma endemica, ma questa volta si diffuse in maniera grave anche nel Nuovo Mondo, portato dai Conquistadores e decimò la popolazione locale, che non aveva alcuna difesa immunitaria contro malattie da secoli presenti in occidente, ma a loro completamente sconosciute. In Europa il culmine pandemico ci fu circa un secolo dopo con milioni di persone infette.
Fu la conoscenza del vaiolo che portò a inventare la vaccinazione, che, ancor oggi è la soluzione migliore per salvare centinaia di migliaia di persone, dato che non abbiamo ancora terapie valide contro i virus.[5] I vaccini invece, utilizzando le nostre difese naturali, riescono a prevenire la comparsa della malattia. La vaccinazione contro il vaiolo, che è statta fatta in maniera forse impositiva, ma assolutamente a tappeto su tutti i popoli della terra, è riuscita a debellare completamente questa viremia in tutti i continenti, tanto che ormai il vaiolo è stato dichiarato completamente scomparso.
Fu Jenner nel 1796 a creare e documentare il primo vaccino, ma oggi sappiamo che già da un centinaio di anni veniva praticata una sorta di vaccinazione, detta ‘variolizzazione’ dalle donne dell’Impero Ottomano. Lady Mary Montagu, letterata e moglie di un ambasciatore inglese in Turchia, durante il suo soggiorno in quel paese, aveva sentito parlare della “variolizzazione”, ovvero un metodo di protezione dal vaiolo che consisteva nell’inoculare nel soggetto da immunizzare del liquido prelevato da pustole vaiolose di pazienti non gravi, contenente però virus vivi. Allora non si era a conoscenza dei virus, ma oggi sappiamo che questo metodo poteva essere pericoloso proprio perchè i virus potevano replicarsi ricreando l’infezione, motivo per cui ora creiamo vaccini utilizzando solo alcune particelle virali. La tecnica era questa: le donne graffiavano con un ago la superficie epidermica del vaccinando e vi mettevano in contatto una piccola goccia di liquido infetto. In questo modo la malattia si sviluppava in maniera molto meno grave e si otteneva l’immunizzazione nel 70% dei casi, con un decorso clinico molto più facile da gestire. Lady Montague fu talmente convinta da questa pratica, ed essendo stata essa stessa sfigurata dal vaiolo durante un’epidemia precendente, che, all’avvicinarsi di un’ulteriore epidemia, fece inoculare prima il figlio, di nemmeno cinque anni, seppur con l’aiuto di un medico, e poi, in un momento successivo, anche la figlia più piccola. Nonostante questa tecnica e questo esempio non fossero stati molto graditi al suo ritorno in Inghilterra, anche perchè provenivano da una zona che si riteneva sottosviluppata, in qualche modo la variolizzazione si diffuse. All’epoca era l’unico rimedio per prevenire il vaiolo e molte contadine inglesi lo praticavano sui loro bambini, pare usando preferenzialmente siero di vaiolo bovino, che era molto meno grave per l’uomo, ma lasciava una immunità permanente. Fu proprio da queste constatazione che Jenner trovò il metodo giusto di vaccinazione e aprì la pratica a questo strumento che tante vite ha potuto salvare.
Altre epidemie si sono poi conosciute nella storia ‘più moderna’.
La poliomielite, che veniva anche chiamata paralisi infantile, è una malattia virale acuta molto contagiosa, che si diffonde principalmente per via oro-fecale. Il 90% delle infezioni da polio non dà sintomi, ma nel 1% dei casi circa, il virus penetra nel sistema nervoso centrale, situandosi di preferenza nei neuroni motori e dando una paralisi flaccida acuta con estrema debolezza muscolare. La poliomielite non era conosciuta nel mondo occidentale prima della fine del XIX secolo, ma è presto diventata una delle malattie infantili più temute del XX. Epidemie di polio hanno paralizzato gli arti di migliaia di persone, soprattutto bambini. Nel caso poi soppravvenisse la paralisi del diaframma, il rischio di morte per soffocamento era estremamente grave.
Molto probabilmente il poliovirus è stato un patogeno endemico in altre zone del pianeta fino alla fine del 1800 quando l’epidemia arrivò in Europa e si diffuse poi velocemente anche in America. Dopo anni di epidemie di polio, che si sviluppavano in prevalenza nelle grandi città e durante l’estate, nel 1950 si trovò il vaccino, e ora, dopo massicce campagne di vaccinazione, anche la polio è stata quasi eliminata in tutto il mondo. Tutt’ora il Rotary International, l’OMS, l’Unicef e ricchi privati, danno costanti contributi per eliminarla completamente, così come si è riusciti a fare per il vaiolo.
L’India invece è stata teatro della prima epidemia di colera nel 1817, che da lì si diffuse in tutto il mondo.
Il colera ha trasmissione oro-fecale, il suo agente patogeno, il vibrione, si trova anche nell’acqua e nei frutti di mare, infatti è diffusa prevalentemente nelle zone di scarsa igiene o in cui si consumano frutti di mare, come cozze e vongole.
In Italia si ebbe un epidemia di colera nel 1973 in Campania, Puglia e Sardegna, data dal consumo di molluschi crudi. Venne immediatamente avviata una vaccinazione, che fu molto rapida e risolutiva, anche per merito della Marina degli Stati Uniti che distribuì vaccini e apposite siringhe, per aumentare la velocità di somministrazione.
Nel 1918, alla fine della prima guerra mondiale, ancora a memoria di alcuni, si diffuse una influenza, soprannominata “Spagnola” che nacque inizialmente negli Stati Uniti e che da lì si diffuse in tutto il mondo, insieme agli eserciti, trovando una popolazione estremamente recettiva, in quanto già stanca e debilitata dai disagi e dalle carenze alimentari della guerra. Anche in questo caso si raggiunsero alti tassi di mortalità, tra il 10 e il 20%, nonostante le possibilità di cura fossero nettamente migliorate rispetto al passato.
Ci sono state poi altre pandemie che sono ben note alla nostra memoria come l’asiatica, comparsa nel 1957, l’influenza di Hong Kong di 10 anni posteriore e l’AIDS nel 1981, che ebbe risvolti psicologici e morali non indifferenti, per il prevalente contagio sessuale e tramite siringhe infette, in uso quindi ai consumatori di eroina. L’AIDS, nonostante sia prodotta da un virus che non uccide, ma che permette però che altri virus subentrino e possano essere letali, ha causato circa 25 milioni di morti in tutto il mondo.
Virus e batteri: dal terrore a una possibile alleanza
La lotta tra uomo e virus percorre quindi tutta la nostra storia, ma proviamo a leggere la realtà in modo ‘evolutivo’.
Sappiamo che ogni essere vivente cerca di esistere e di diffondersi in modo da stabilizzare la propria presenza nel mondo, e anche i virus, come gli uomini e come qualunque altra forma vivente, non si comportano in maniera difforme.
“Al suo punto di partenza, il phylum corrisponde alla ‘scoperta’, fatta a tentoni, di un tipo organicamente nuovo, vitale ed efficace. Ma questo tipo non raggiunge, di colpo, la sua forma più economica e più adeguata. Per un tempo più o meno lungo, si direbbe che impiega tutta la sua forza per proseguire la propria ricerca alla cieca nell’intimo di se stesso. I tentativi si susseguono, ma senza essere ancora definitivamente accettati. Infine ecco avvicinarsi la perfezione. Da quel momento, il ritmo dei cambiamenti rallenta; e la nuova invenzione, giunta ai limiti di quanto può dare, entra nella sua fase di conquista. Più forte dei vicini meno perfezionati, il gruppo appena nato si espande mentre si stabilizza. Si moltiplica ma senza più differenziarsi. Ha raggiunto contemporaneamente il grado massimo di dimensione e di stabilità. [6]
Quindi, raggiunta la capacità di ampliare i suoi spazi e di stabilizzarsi nel mondo, ogni forma vivente, cerca di affermarsi. In questo caso virus e batteri contro umani, ma possiamo tranquillamente dire che all’inizio, per poter esistere e senza ancora riuscire a guardarsi intorno, è proprio lotta pura di affermazione, un “tutti contro tutti”.
Ma gli uomini si sono costruite possibilità di difendersi nel loro percorso di affermazione e allargamento, e infatti nei secoli hanno trovato strategie per farlo[7], ed anche questa volta, con il nuovo vaccino, sono riusciti, seppure non nell’immediatezza, a contrastare e fermare il diffondersi della pandemia di covid 19.
Si prenda in considerazione, però, di quanto recente sia la possibilità di avere prevenzione e cure…..
Il “tutti contro tutti” rappresnta quindi l’inizio della storia della vita, ma ora possiamo cambiare punto di visuale.
Tutta la creazione ha un senso e con i nuovi studi e le nuove ricerche ci siamo anche resi conto che virus ‘addestrati’ e che riescono per natura loro a penetrare nelle cellule umane senza ucciderle, possono arrivare a curare, o addirittura a immettere un DNA sano in forme patologiche gravissime, genetiche e non, che altrimenti non sarebbero risolvibili.
Se noi infatti sapessimo usare e sapessimo entrare in contatto con tutte le situazioni e tutte le realtà, utilizzandole in modo diverso, sicuramente vedremmo che i conti di nuovo tornerebbero e, non solo. Perchè potremmo anche trovare soluzioni nuove, apprese da individui appartenenti a philum completamente lontani da noi.
Ci renderemmo conto che il mondo creato da Dio è molto più perfetto di come lo vediamo.
E’ stato nel 2012 che due ricercatrici: Emanuelle Carpentier del Max Planck di Berlino e Jennifer A. Doudna dell’università di Berkeley in California hanno scoperto il sistema ‘CRISPR – cas 9’ che è l’acronimo di Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats ovvero un sistema di editing biologico assolutamente nuovo. Una possibile traduzione è ‘brevi ripetizioni palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari’. Per capire meglio: con questo metodo qualunque tipo di cellula sia vegetale che animale, inclusa ovviamente quella umana, può essere geneticamente modificata, e la correzione può avvenire in qualunque parte del genoma e anche per un singolo errore e anche in una creatura vivente. Dove c’è il gene, diciamo la parte sbagliata che crea problemi, si può intervenire tagliandola via e inserendone una sana. Questa tecnica inoltre è molto facile da usare, rapida ed economica. Per questa intuizione e la facilità del suo utilizzo le due ricercatrici hanno ricevuto il premio Nobel per la chimica nel 2020. Cerchiamo di capire come funziona e qual è l’intuizione geniale che, oltre a curare, ci dimostra come, aumentando e migliorando la nostra capacità di comprensione del mondo intorno a noi, potremmo, anzichè ucciderci a vicenda, perfino aiutarci. I batteri studiati e usati per questo metodo di editing genomico, sono dei semplicissimi batteri con cui tutti abbiamo avuto a che fare: gli streptococchi, la famiglia di quelli che fanno venire il mal di gola e la tonsillite, o in casi più gravi, anche la scarlattina e la malattia reumatica. Questi batteri hanno un loro metodo naturale di difesa contro i virus che li infettano, ovvero hanno la possibilità, tramite la loro proteina cas 9, che codifica enzimi capaci di tagliare il DNA, di recidere la sequenza del DNA virale. Il DNA non viene però tagliato in modo casuale, ma in un punto preciso grazie alla presenza di un RNA guida che riconosce la sequenza genetica del virus invasore, si appaia al suo DNA, per indicare il punto preciso in cui tagliare (il sistema CRISPR) e, nell’eventualità, sostituire la parte del genoma patogeno tagliato via con una nuova sequenza. Questo meccanismo può essere prodotto in vivo direttamente negli organismi viventi, o anche ex vivo, all’esterno, su cellule vive prelevate precedentemente. Questa metodica potrà essere usata sia nelle malattie genetiche, sia contro i tumori (interrompendo la sequenza del DNA bloccano la trasformazione e la crescita delle cellule tumorali), sia per risolvere malattie neurologiche come Alzheimer e Parkinson, ma anche malattie infettive, come è stato sperimentato sull’ HIV.
Perfino per risolvere i problemi del rigetto degli organi trapiantati, mettendo al posto dei geni ‘sbagliati’ quelli ‘giusti’. In Italia l’Università di Trento ha contribuito alla ricerca per rendere il punto del taglio genomico più preciso.
Ricapitolando, in questo modo le due ricercatrici hanno visto che è possibile tagliare via dei geni malati o difettosi o infettanti e attraverso questa guida, fornita dal RNA del batterio, immettere sequenze geniche sane e in questo modo restituire la salute e l’integrità alla cellula malata o difettosa. E siccome è impossibile credere, ad un convinto cristiano, che Dio abbia potuto creare la malattia, il male, la sofferenza, ecco che veniamo ad avere una risposta meravigliosa a tante nostre domande.
“Il male, effetto secondario, sotto-prodotto inevitabile, della marcia di un Universo in evoluzione” [8]
Durante l’evoluzione, nel logoramento degli eventi, nel corso della storia, delle insidie, degli insulti del tempo e degli accidenti che possono intercorrere, come anche più limitatamente nella vita dei singoli individui, il patrimonio del DNA si può essere rovinato. Ma studiando, approfondendo, conoscendo meglio il mondo, si possono trovare soluzioni, aggiustamenti, seppure ancora il nostro percorso evolutivo sia arretrato e molta strada ci sia ancora da fare. Già ora però vediamo come anche i batteri, spesso valutati come nostri nemici, una volta che siano addomesticati e adattati possono perfettamente convivere con noi ed anzi servire per aiutarci reciprocamente. Possono correggere il danneggiamento e l’usura che tanto dolore e sofferenza creano negli individui.
Un altro esempio di questa possibilità di utilizzo, sebbene diverso, (a parte la millenaria e ben conosciuta opera dei batteri che producono vino, aceto, yogurt, ecc) è dato dall’acido ialuronico, oggi così frequentemente usato per le sue ottime proprietà in tanti campi della medicina. All’inizio del suo utilizzo veniva estratto da animali uccisi, ora è invece prodotto da batteri che lo sintetizzano e poi lo rilasciano nell’ambiente di cultura in cui si trovano e da cui lo preleviamo, risparmiando tante vite animali. E anche questi batteri sono del genere Streptococcus.
Prima o poi possiamo veramente sperare che:
“Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà “.[9]
Ma dobbiamo ancora crescere per poterci arrivare e ancora capire tante cose.
La Noosfera: una stoffa in evoluzione
L’evoluzione e la potenzialità della Noosfera han fatto sì che, a questo punto della nostra storia di uomini, per far fronte alla terribile pandemia di covid 19 che ha ucciso tante persone e fatto proporzionali ingenti danni all’economia, siamo riusciti a unire tutte le forze, creando punti di eccellenza che, lavorando insieme, hanno prodotto un vaccino per poterci salvare.
“Ma, ancor più, grazie a un interlegame biologico portato all’estremo con la comparsa della Riflessione, compenetrazione organizzata di tutti gli elementi, gli uni attraverso gli altri. Incontestabilmente, a una velocità sempre accelerata, la rete (una rete mondiale) di legami economici e psichici si tesse, e ci avvolge, e ci penetra senza posa sempre più strettamente. Ogni giorno un po’ di più ci diventa impossibile agire e pensare se non in forma solidale”.[10]
“La Noosfera non può funzionare se non liberando sempre più, e a un potenziale più elevato, dell’energia spirituale.[11]
E l’energia spirituale ci porta inevitabilmente a un amore e una cura vicendevoli. Dal punto di vista sociale, poi, se non la carità cristiana o la capacità di amore e di condivisione, ma la semplice consapevolezza della realtà, ci hanno insegnato che, se non salviamo e vacciniamo tutti i popoli della terra, continueremo ad essere a rischio anche noi. Sebbene il discorso possa essere egoistico, è anche estremamente educativo. E non vale solo per le pandemie, ma anche per il progresso, la stabilità politica e sociale, l’economia.
Nessun castigo di Dio, quindi, questa pandemia, ma solo un evento naturale che, se compreso nel modo giusto, non ha fatto altro che contribuire con tanti fattori alla nostra crescita evolutiva, anche se purtroppo, però, non siamo ancora in grado di curare e salvare come vorremmo, ma ci arriveremo.
“La nostra era non può funzionare se non liberando sempre più e a un potenziale più elevato, dell’energia spirituale. Capire, scoprire, inventare… dal primo risvegliarsi della sua coscienza riflessa, l’uomo si è trovato posseduto dal demone della ricerca. Ma fino a un’epoca assai recente, questo bisogno profondo restava latente, diffuso, o disorganizzato nella massa umana. In ogni generazione, nel passato, si distinguevano i veri ricercatori, i ricercatori per vocazione e per professione, ma essi rappresentavano quasi soltanto un pugno di individui, generalmente isolati, di tipo piuttosto originale, il gruppo dei “curiosi”. Ora, oggi, senza che ce ne siamo resi conto, la situazione si trova completamente cambiata. Che cosa significa questo grande avvenimento? Per conto mio vedo un’unica spiegazione. E cioè che l’enorme eccesso di energia libera provocato dal ripiegamento della Noosfera è naturalmente, evolutivamente destinato a passare nella costruzione e nel funzionamento di quello che ho definito il suo cervello. Simile in ciò, sebbene a una scala immensa, a tutti gli organismi che l’hanno preceduta, l’umanità si cefalizza progressivamente. Per occupare quello che definiamo il nostro tempo libero non c’è altro mezzo biologico, dunque, che quello di dedicarlo a un nuovo lavoro, di natura superiore: cioè a uno sforzo generale e collettivo di comprensione. La Noosfera, un’immensa macchina per pensare.”[12]
Il mondo si sta quindi evolvendo per raggiungere una perfezione sempre migliore, ma, come dice lo stesso Teilhard, non avrebbe potuto già nascere perfetto, altrimenti non sarebbe stato altro che una copia di Dio stesso.
Mano a mano però che la nostra conoscenza sta migliorando, ecco che ci possiamo rendere conto di come tutto potrebbe funzionare molto meglio e addirittura ci potrebbe essere una reciprocità di aiuto nel non farci la guerra, ma vivere insieme in pace con tutti gli esseri di questo mondo, perfino virus e batteri, nostri storici nemici.
Consideriamo infatti che la velocità con cui si è riusciti a creare un vaccino per questa nuova pandemia, è dipeso dalla ricerca di nuove soluzioni e di nuovi farmaci che è nata esattamente da una base di curiosità, di desiderio di cercare, di capire, e di andare sempre più avanti, sempre più oltre, anche dove in quel momento poteva non esserci bisogno. E questo è stato fatto dappertutto nel mondo e con l’aiuto di tutti quelli che l’hanno fatto solo per lo spirito di scoprire, di trovare soluzioni mai precedentemente considerate, e con un’estrema solidarietà nei confronti di tutti gli altri, anche al di sopra delle rivalità personali.
Questo ha sempre valore per chi si occupa di scienza medica, per chi ricerca (i ricercatori hanno stipendi bassi, si nutrono del loro lavoro…), ma cambia quando il problema diventa di tipo economico. Dove, quando si deve mantenere una industria farmaceutica, con un inevitabile tornaconto di stabilità economica, in modo da poter pagare i dipendenti, inizia a prevalere un ragionamento di altro tipo e molto più competitivo. Le leggi del mercato sono infessibili. Purtroppo, in questa ultima pandemia, che tante morti ha causato e sotto gli occhi di tutti, si sono sentite persone che hanno demonizzato il vaccino in quanto creduto solo un arricchimento per le ditte farmaceutiche, ma questo è un discorso cieco, perché non si pensa che sia il ricercatore che il semplice dipendente o operaio, deve pur mangiare e ha diritto ad uno stipendio adeguato. E per svalutare una persona, quale potrebbe essere effettivamente il proprietario di un industria farmaceutica, non possiamo svalutare, punire tutti. Senza considerare che produrre vaccini non ha generalmente un riscontro economico adeguato, motivo per cui in tutto il mondo le ditte che li producono si contano sulle punte delle dita.
Anche per questo, per imparare a capire e leggere la realtà in modo migliore, un ruolo importantissimo dovremmo darlo a una corretta informazione e all’educazione.
“Nel corso della durata, va dunque stabilendosi uno stato umano di coscienza collettiva che viene ereditato, e spinge un po’ più lontano ogni nuova generazione di coscienze individuali. Supportata, beninteso, dalle persone-individuo ma, nello stesso tempo, invadendo la loro moltitudine successiva e modellandola, sulla terra, attraverso il tempo, è visibilmente in via di formazione una sorta di personalità umana generale. Ebbene, assicurare i continui sviluppi di quest’ultima comunicandola alla massa sempre mutevole di quelle, detto altrimenti, estendere e prolungare nel collettivo la marcia di una coscienza forse arrivata ai suoi limiti nell’individuale, tale parrebbe essere, nel caso dell’uomo, la funzione specifica dell’educazione; e tale è di conseguenza la prova definitiva della sua natura e del suo valore biologico fin nelle cose dello spirito”.[13]
Dai documenti storici in nostro possesso sappiamo come il ruolo educativo sia stato importantissimo e come i popoli abbiano seguito le norme che venivano date. Seguendo la storia ci possiamo rendere conto di come anche il fenomeno educativo sia andato cambiando ed evolvendosi insieme a tutte le altre cose, questo anche perché le conoscenze sono molto aumentate e la cultura si è allargata ad un numero sempre maggiore di individui, permettendo la capacità di leggere la realtà in un modo sempre più chiaro rispetto ai periodi precedenti.
Parlando di epidemia, i riscontri più antichi che possiamo trovare rispetto alle norme educative e sanitarie dei tempi sono nella Bibbia. L’Antico Testamento dettava infatti le norme di vita che coinvolgevano allo stesso momento la parte comportamentale, la parte igienica (medica), la parte sociale e morale, ma la realtà veniva ovviamente letta con la capacità di capire e le conoscenze delle varie epoche.
Nel Levitico, XIII sec. a.C., vengono descritte varie malattie con il termine «zara’at» che indica il concetto di impurità, identificabili con la lebbra o anche con altre dermatopatie quali psoriasi, scabbia, tubercolosi etc., che all’epoca, e anche nei secoli successivi erano estremamente confuse fra loro.
Si specifica anche come Dio spieghi a Mosè e Aronne le manifestazioni della lebbra e il modo sacerdotale di giudicarla:
«Ordina ai figli di Israele che mandino via dagli accampamenti tutti i lebbrosi…affinché non lo contamini mentre io abiterò con voi» [14]
«Per tutto il tempo che è lebbroso e impuro, starà solo, fuori dagli accampamenti»[15]
Anche la Chiesa, nei secoli, si è sempre occupata di determinate regole igienico sanitarie. Regolamenti per i lebbrosi furono promulgati nel Concilio di Lione (538) che emanava severe disposizioni per limitare i contatti con i lebbrosari (cfr. Editto di Rotari del 603) e nel III Concilio Lateranense (1179) venne stabilito che i lebbrosi dovevano essere segregati dalla società, frequentare chiese esclusivamente dedicate a loro e che i cimiteri dovevano essere rigorosamente separati dagli altri. Nel IV Concilio Lateranense (1215), poi, venne decretato che i lebbrosi, come gli ebrei, dovevano vestire abiti specifici, con una croce gialla cucita sopra, avere una campana al collo e tenere un bastone in modo da essere identificati da tutti. Dovevano abitare fuori dalla città come ebrei e prostitute (altri emarginati), dovevano essere considerati sporchi e peccatori, come omosessuali e streghe, e annunciare il loro arrivo col suono di campanelli e sonagli. Ovviamente non potevano toccare le cose.
E’ chiaro che un ruolo significativo per queste indicazioni lo giocavano le devastazioni fisiche della lebbra, che emanavano un insopportabile fetore e sfiguravano i malati creando un aspetto che poteva realmente spaventare, motivo per cui non erano accettati all’interno delle comunità.
Ancora quindi nel Medio Evo la Bibbia influenzava profondamente le coscienze e manteneva la credenza che i lebbrosi fossero peccatori e sporchi, nonostante nel Nuovo Testamento la santità e la compassione di Gesù proprio verso questi malati fosse stata descritta e dimostrata.
In quel periodo, solo Santa Elisabetta di Ungheria, figlia del re Andrea II di Ungheria, non a caso canonizzata nel 1235 a soli quattro anni dalla morte, ispirandosi all’insegnamento di Gesù, si dedicò a opere di carità verso i lebbrosi e viene ora considerata la loro santa protettrice.
In epoca rinascimentale si può assistere invece ad una vera e propria rivoluzione. La Chiesa, che aveva sempre colpevollizato, contrastato e segregato i lebbrosi, cambia atteggiamento e si dedica invece al recupero e all’assistenza di questi malati. Ciò perché prevale il principio che Cristo, essendo egli stesso un «quasi leprosus», condivide le sofferenze dei malati, li rassicura e concede loro la salvezza tramite il suo sacrificio.
Dalla prima metà del ‘900, il giornalista francese Raoul Follereau (1903-1977) si occupò di lebbra e dei tanti altri diversi, sofferenti e abbandonati del mondo.
Da un suo scritto: «Nel secolo XX del cristianesimo ho trovato lebbrosi in prigione, in manicomio, rinchiusi in cimiteri dissacrati, internati nel deserto con filo spinato attorno, riflettori e mitragliatrici. Ho visto le loro piaghe brulicare di mosche, i loro tuguri infetti, i guardiani col fucile. Ho visto un mondo inimmaginabile di orrori, di dolore, di disperazione».
Tema questo ripreso da Papa Francesco che accomuna la lebbra alle grandi problematiche attuali: epidemie mai esistite prima, come HIV, Ebola, Zika, COVID-19, migrazioni incontrollate, guerre, sconvolgimenti socio-politici, comportamenti individuali e collettivi fuori da ogni immaginazione e da ogni controllo, da ogni minima umanità.
Il lock down. Le risposte.
Come dice il proverbio “non tutto il male vien per nuocere” e infatti non esistono evenienze di nessun tipo che abbiano una valenza unica. Essere stati aggrediti da un virus mortale che ha colpito le nostre famiglie, che ci ha costretti alla chiusura della nostra realtà sociale, lavorativa ed economica, ha portato da una parte a ricompattare le fila ed essere solidali tra di noi come non era successo da un lungo periodo. L’impossibilità di uscire e le notizie e i filmati delle tv che ci rimandavano ad una visione di morte, ci ha fatto recuperare e capire (seppure purtroppo non a tutti) i veri valori, quelli che stanno al di sotto delle società consumistiche e che sono fondamentali e irrinunciabili per la psiche dell’uomo, per la nostra anima. E che forse nell’ultimo periodo, dagli anni ’80 in poi, dal così detto ‘edonismo reaganiano’ ci eravamo un po’ dimenticati. L’impossibilità iniziale di trovare una cura, ci ha anche fatto riavvicinare alla preghiera. Quando ci si accorge che non c’è un rimedio in vista, rivolgersi a Dio, o anche a Maria, nostra madre celeste, è l’unica cosa che può dare speranza e che ci faccia sentire protetti. E, nell’isolamento e nella costrizione del lock down, il pregare insieme di intere città, ha ridato alla preghiera un’identità e un valore ormai dimenticati dai più nella convulsa vita quotidiana pre e post pandemica.
La clausura obbligatoria è stata fastidiosa per molti, nonostante in tanti si siano invece organizzati a riordinare le case, in un tempo regalato che non c’era mai stato prima, nella nostra società consumistica ed iperattiva, ma chi veramente ha sofferto, sono stati bambini e ragazzi. Nonostante i social e il telefono, il non poter avere contatti con i coetanei è stato particolarmente penalizzante, una vera sofferenza quasi fisica. Le lezioni scolastiche on-line non hanno assolutamente potuto sostituire quella che è un’esperienza in classe, né per i rapporti con i docenti, nè ancor meno con i coetanei, né con la cultura. Quando le nostre città si sono riaperte, abbiamo infatti assistito ad episodi di violenza inaudita, anche fra ragazzi molto giovani. Chi non ha infatti potuto usufruire della vicinanza e dalla compagnia dei coetanei, o della possibilità di essere supportato da una famiglia attenta e presente durante la pandemia, si è sentito fortemente costretto ed emarginato, sia a livello sociale che scolastico, dando quindi sfogo alla propria rabbia e alla propria sofferenza provocando risse, episodi violenti e aggressivi, accerchiamenti di coetanei con botte e coltellate. Anche la mancanza di attività motorie adeguate sicuramente ha avuto un suo ruolo. All’interno di quelle famiglie, poi, in cui la situazione non fosse idilliaca, e il rapporto uomo donna fosse già in qualche maniera alterato, la convivenza forzata e in spazi così ristretti, ha aumentato gli episodi di violenza domestica, prevalentemente contro le donne, le mogli, le madri.
Alla fine del lockdown le risposte delle persone sono state completamente divaricanti, dicotomiche: da una parte ci sono stati individui che sopportavano la clausura con estrema fatica, che per evitare la claustrofobia del dovere stare chiusi in casa hanno trovato tutte le scuse per poter uscire: andavano più volte al giorno a fare la spesa, in farmacia, a portare fuori il cane. Le uniche cose permesse. Altri invece, terrorizzati dalle notizie che sentivano in televisione, ma prevalentemente perdendo l’abitudine ad uscire, al rapportarsi agli altri, hanno avuto estreme difficoltà, aumentate nel tempo, e culminate alla fine del lock down, a riprendere le normali uscite e i normali rapporti sociali. Recrudescenze di crisi depressive si sono anche avute nelle persone che avevano precedentemente sofferto di depressione, raramente invece negli psicotici, in quanto per loro il contatto con la realtà è molto più labile e meno significativo di quello che hanno con i loro tormentati e tormentanti pensieri.
Anche l’arrivo del vaccino ha portato a una duplice risposta: chi ha cercato di farsi vaccinare il prima possibile, anche con l’inganno, utilizzando parenti ed amici infermieri che potevano accedere all’uso di qualche dose avanzata, chi invece è entrato nel panico più totale all’idea di essere costretto a immettere nel proprio corpo una sostanza di cui non poteva avere il totale controllo.
La stessa dicotomica risposta è stata data con l’avvento del green pass: la certificazione di essere in qualche modo immunizzati ha creato nei vaccinati, che potevano già accedervi, una grande sicurezza e, finalmente, la libertà di movimento, in altri invece, che non volevano farsi somministrare il vaccino, si è assistito a fenomeni di contestazioni di piazza, di creazione di una cultura alternativa con false documentazioni (si sta ancora indagando da che fonte)[16], di un negazionismo con spunti paranoici, che ha purtroppo portato anche alla morte di coloro che, infettati, rispondevano al covid in maniera massimale, ma avevano negato la malattia e rifiutato il vaccino.
Si è assistito anche ad una recrudescenza di attacchi di panico, non solo per paura della malattia, ma ancor maggiormente per quella del vaccino, nonostante i documentati e positivi risultati della campagna vaccinale in tutto il mondo occidentale, l’unica parte del pianeta che aveva potuto usufruirne pienamente, e che aveva permesso di riprendere le normali attività lavorative e il recupero dell’economia.
Qualcosa però di buono c’è stato.
Nella estrema sofferenza del dover tenere le famiglie divise, disgregate (senza parlare di quelle di medici e personale sanitario, che si è separato completamente dagli altri familiari, da tutti gli affetti, compresi i figli piccolissimi, per paura di contagiarli), e nell’impossibilità, durante il lockdown di frequentarsi, ci si è resi conto di quanto affetto e di quante cure si aveva bisogno di scambiarci l’un l’altro per essere felici. Questo anche nei confronti dei nostri anziani, seppur inabili e giudicati ormai inutili dalla società attiva.
Nipotini e nonni hanno sofferto tantissimo la reciproca mancanza.
Ma un’altra cosa è successa che, prima della pandemia sarebbe potuta sembrare incredibile. Bambini e ragazzi, dopo una overdose di film, di video games, di serie tv, di rapporti solo con cellulari e tablet, stanchi della ripetitività di questi strumenti, si sono di nuovo rivolti e riappropriati dei giochi di una volta: giochi più creativi da fare in famiglia, giochi da tavolo, da cortile, racconti di favole, ascoltate e inventate. Tutto ciò, insomma, che stimola fantasia e potenzialità creative e progettuali, le armi segrete dell’uomo, prima fra tutte la capacità di astrazione, che inizia già dall’infanzia con la possibilità di astrarsi dalla realtà circostante, sebbene buia e cupa, creando nel gioco libero immagini e situazioni completamente fantastiche in cui credere. Sembra proprio che tutti si siano resi conto, come prima non mai, che la tecnologia è importantissima e ormai insostituibile, ma che è solo uno strumento, perché quello che conta è l’uomo, la sua intelligenza, le sue capacità, la progettualità, la creatività, è l’amore reciproco che è in grado di scambiarsi e che fa crescere la Noosfera.
[1] Il posto dell’uomo nella natura: il gruppo zoologico umano. Il Saggiatore, Milano, pag.217
[2] L’attacco alle torri gemelle con 2996 morti nel 2001 e il crollo borsistico legato al fallimento della banca Leimhan Brothers nel 2008.
[3]Oggi la lebbra si cura con gli antibiotici e l’antibiotico di elezione per curarla, la Rifampicina, fu scoperto in Italia (Lepetit) a Milano nel 1959.
[4]Alcuni di questi restano ancora come capolavori architettonici dell’epoca: il Lazzaretto Vecchio di Venezia, gli Incurabili di Napoli, il Lazzaretto di Ancona e il Lazzaretto brutto sull’Isola Tiberina a Roma.
[5]Le ricerche hanno migliorato strategie antivirali, soprattutto contro herpers e HIV, ma ancora cure certe non ci sono, mentre per i batteri gli antibiotici sono risolutivi, nonostante l’uso indiscriminato da parte degli allevatori e scorretto da parte della popolazione, abbia fatto emergere e nascere ceppi di germi e batteri resistenti. Si rimanda quindi allo scritto di Teilhard riportato più avanti di come ogni forma vivente cerchi il miglior sistema per sopravvivere.
[6]P.Teilhad de Chardin “Il fenomeno umano” ed. Queriniana, pag. 109
[7]Anche i virus comunque lo fanno, creando di continuo nuove varianti, come abbiamo potuto vedere.
[8]Il posto dell’uomo nella natura: il gruppo zoologico umano. Il Saggiatore, Milano, pag.217
[9]Bibbia Isaia, 11,6
[10]L’avvenire dell’uomo, ed. Jaka Book,pag. 144.
[11]Ibid. pag .145
[12]Ibid., pag. 145
[13]Ibid., pag 19
[14]Bibbia, Levitico, 5,2
[15]Ibid., 13, 46
[16] Ci sono ora ipotesi al vaglio dell’intelligence dei vari paesi che stanno indagando per capire se i siti con le informazioni contro i vaccini europei e americani siano stati creati, come sembra, dalla Russia per far meglio valutare e quindi acquistare lo Sputnik, il vaccino prodotto da loro.