di Paolo Tamburini
L’eredità dell’antropologo, sociologo e filosofo della scienza francese, ci costringe a confrontarci con la trasformazione della società. L’approccio interdisciplinare, scientifico e umanistico si coniuga a un invito all’impegno concreto in chiave politica.
Sul pianeta Terra, il tasso di CO2 nell’atmosfera è sempre più elevato e ha raggiunto le attuali 416 parti per milione. Un record, dicono gli scienziati del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc). Bruno Latour – antropologo, sociologo e filosofo della scienza di fama mondiale mancato a 75 anni a fine 2022 – identifica nel “nuovo regime climatico”, il contesto che fissa le coordinate, le strategie e i limiti entro cui muoversi dentro la “crisi ecologica” per costruire una politica adeguata alle sfide del XXI secolo a livello globale, nazionale, locale e individuale.
Gaia e il nuovo regime climatico
Con i volumi pubblicati negli ultimi tre anni, Bruno Latour si colloca ai vertici dell’analisi e della elaborazione del pensiero ecologico con un approccio interdisciplinare, scientifico e umanistico di grande spessore culturale. Nei suoi saggi, racconti filosofici, sceneggiature teatrali, nuovi processi di cittadinanza attiva, Latour descrive, analizza e traccia il ruolo e il profilo, le caratteristiche, i conflitti, i processi che coinvolgono i sistemi viventi, i rischi e le opportunità che si presentano loro.
Latour fa sua l’ipotesi di Gaia avanzata negli anni ‘70 da James Lovelock ma non si limita al dato scientifico, lo integra con la dimensione umana e sociale. Secondo Latour Gaia, la Terra, è un sistema vivente autoregolantesi che ci ospita avvolgendoci. Allo stesso tempo obbligandoci a rispettare i suoi limiti. Sono i sistemi viventi che ne fanno parte a determinare la sua unicità. Nel pianeta Terra/Gaia natura e cultura sono una coppia di concetti complementari, uniti nella diversità.
Latour si sofferma a lungo sui luoghi comuni del concetto di natura: “Ogni volta che tentiamo di avvicinare l’uomo alla natura, siamo ostacolati dall’obiezione che l’essere umano è prima di tutto un essere culturale”. È il retaggio della tradizione occidentale. “Si comprende quindi perché ogni definizione della crisi ecologica come ritorno dell’uomo alla natura metta in moto paure ataviche”. L’uomo? è colui che non può “sfuggire totalmente ai vincoli della natura”. “Quando si invoca il ‘diritto naturale’ si esprime l’idea che la ‘natura’ possa essere concepita come un insieme di regole quasi giuridiche”. In questo caso, l’aggettivo ‘naturale’ diviene sinonimo di ‘morale’ o ‘legale’. Un nuovo spirito delle leggi della natura è sul punto di emergere – afferma Latour sulla scia di Michel Serres: “faremmo bene a cominciare a redigerlo se vogliamo sopravvivere alle potenze scatenate dal nuovo regime climatico”. Latour ha il merito di cogliere la portata epocale determinata dalla crisi climatica. I media e il pensiero comune ne parlano come fosse qualcosa di passeggero. In realtà è una grande trasformazione dell’infrastruttura materiale della società, un cambio di paradigma nel modo di produrre di consumare che è richiesto agli umani che ancora non agiscono in modo conseguente nell’affrontare le emergenze climatiche.
L’Antropocene
Con il termine coniato dal geologo Paul Crutzen, così è stata denominata l’attuale era in cui la specie umana dispone di un potere e una forza prima mai viste, producendo un impatto nell’atmosfera in grado di influenzare e alterare il suo equilibrio in modo irreversibile.
L’impatto dell’Homo sapiens può essere disastroso, ma può anche essere positivo e benefico se orientato al mantenimento delle condizioni di abitabilità della Terra sviluppata attraverso pratiche rigenerative, la resistenza della società al primato dell’economia. L’epoca in cui si generano nuovi conflitti e classificazioni antropo-sociali, nuove forme organizzative e di comunità che Latour identifica e nomina nelle due macro categorie antropologiche che si combattono: gli estrattori e i rammendatori.
Gli “estrattori”, predatori di risorse e dissipatori, élite mondiali e locali ancorate a paradigmi superati nonché beneficiari di grandi privilegi, sono impegnati nel non riconoscere la validità e propagano il dubbio che i dati scientifici siano stati manipolati da forze oscure. La follia della negazione – dice Latour – diventa poi una forma di fanatismo come nel caso dei cosiddetti clima-scettici e clima-negazionisti. Una posizione che nasconde l’indisponibilità a ridurre i costi eccessivi e l’ipersfruttamento delle risorse del pianeta e gli altri sistemi viventi perché è più comodo “continuare a vivere come si è fatto finora”.
I “rammendatori” sono al contrario coloro che sono impegnati a preservare e rigenerare le risorse limitate del pianeta e a far crescere, attraverso forme di cura, la continuità da cui dipende l’abitabilità del mondo.
Viviamo nell’epoca dei paradossi e delle contraddizioni. “Non crediamo in quello che sappiamo”: l’incoerenza tra la teoria e la prassi è l’ostacolo che paralizza strategie e comportamenti del nostro ‘‘essere nel mondo”, di produrre e di consumare, di relazionarci con gli altri umani e viventi, di posizionarci nelle organizzazioni e nelle comunità.
Una forma efficace di comunicazione del regime climatico è da alcuni anni l’Earth overshoot day, il giorno in cui la domanda di risorse naturali a livello mondiale supera quello che la Terra può rigenerare in un anno. Ogni Paese può calcolare qual è il suo debito ecologico per l’anno successivo avvalendosi del Global footprint network che tiene conto della capacità biologica di un ecosistema di produrre e rinnovare risorse naturali, e dell’impronta ecologica che misura l’impatto delle attività economiche di una comunità. Secondo queste stime, la popolazione mondiale sta consumando le risorse di 1,75 pianeti l’anno. Da qui lo slogan di Greta Thunberg: “Non abbiamo un pianeta B”.
Il manifesto dell’ecologia politica: verso un avvicendamento delle classi al comando
Latour non si è limitato a trattare in chiave filosofica, antropologica e scientifica i fondamenti delle discipline al centro del suo lavoro di ricerca. Con il manifesto per una nuova ecologia scritto a quattro mani con Nikolaj Schultz nel 2023 ha redatto un documento che affronta in chiave politica la cultura ecologica, un raro caso di elaborazione sistematica e rigorosa e al contempo di impegno appassionato.
Dopo il fallimento dei modelli forgiati nell’Ottocento e praticati fino a poco tempo fa, anzi ancora in atto per quanto in profonda crisi (liberalismo, marxismo, socialdemocrazia, neo-conservatorismo, globalizzazione), Latour auspica e motiva il perché è l’ecologia politica che deve prendere il timone del sistema politico, dando priorità al mantenimento delle condizioni di abitabilità del pianeta. Contro la falsa globalizzazione e l’anacronistico ritorno ai confini. L’alternativa al dominio della “produzione” sulla società ha trovato negli ultimi secoli pochissimi interpreti, tra cui Karl Polanyi con il suo saggio La grande trasformazione dedita alla “risocializzazione della sfera produttiva” e alla conciliazione di solidarietà e competizione.
Il movimento, la nuova classe ecologica, deve aggiornare e sostenere il processo di civilizzazione avviato nei secoli dagli altri movimenti sociali progressisti: “creare, attraverso forme di cura, la continuità degli esseri viventi da cui dipende l’abitabilità del mondo”; condurre una lotta per le idee per raggiungere l’egemonia grazie alle nuove scienze della Terra e promuovendo l’educazione/sensibilizzazione; affermare l’egemonia sui modelli ideologici e tecnocratici fallimentari in virtù del contesto del nuovo regime climatico; darsi una organizzazione al passo con i tempi e le tecnologie disponibili.
Il lavoro che ci aspetta.
Paolo Tamburini
Responsabile Ctr Educazione alla sostenibilità, Arpae Emilia-Romagna
Bibliografia
Bruno Latour, 2020, La sfida di Gaia, il nuovo regime climatico, Meltemi.
Bruno Latour, 2022, Dove sono? lezioni di filosofia per un pianeta che cambia, Einaudi.
Bruno Latour, Nikolaj Schultz, 2023, Facciamoci sentire! Manifesto per una nuova ecologia, Einaudi.
Karl Polanyi, 1974, La grande trasformazione, Einaudi.
Michel Serres, 1991, Il contratto naturale, Feltrinelli.
Per gentile concessione di Arpae Emilia-Romagna su ECOSCIENZA n. 4 – settembre 2023, pp. 82-83