di Gabriella Castellini
Armida Barelli aveva un sogno: rifondare l’Italia e farla cristiana.
Nel periodo fra le due guerre mondiali l’Italia attraversava il delicato momento in cui bisognava stabilire leggi quadro nuove dello Stato per l’attuazione della Costituente, dopo la parentesi del partito popolare di don Sturzo che aveva permesso alle masse cattoliche di partecipare alla politica, superando la tradizionale posizione cattolica di estraneità alle politiche del Regno (referendum del 1921) Ma solo nelle elezioni politiche del 1946 anche le donne per la prima volta, andranno a votare. Perciò, l’impegno totale di Armida Barelli fu di introdurre nella cultura del Paese un approccio innovativo collegando, come cerniera, la vita civile con la vocazione religiosa.
Era una donna “cucitrice di opere” come la definì Padre Agostino Gemelli che con lei fondò l’Università Cattolica del Sacro Cuore, essendo lei riuscita ad intessere una rete di progettualità e fondi per costituirla e farla nascere in un mondo che negli anni ’20 era immerso in un futuro incerto; ma quel contesto determinò in Armida la decisione di realizzare quel disegno che proprio dal Sacro Cuore di Gesù sentiva calato su di lei, rendendo la sua vita l’obiettivo rivolto a quella realizzazione.
La sua missione è l’Italia e “come la zingara del Buon Dio” la percorre tutta e si mette totalmente a disposizione per rispondere a questa chiamata cristiana: «Avanti insieme nella bella e grande famiglia cristiana… professoresse e analfabete, aristocratiche e contadine, studentesse e operaie, maestre e impiegate, casalinghe e artigiane perché siamo una forza noi donne in Italia». Armida dà così vita alla “Gioventù Femminile Cattolica” formando milioni di ragazze che plasmeranno il Paese, partecipando alla vita ecclesiale, sociale e politica.
Infatti, ciò che rende la missione di Armida Barelli veramente innovativa è il vedere nella transizione al femminile la grande risorsa di cambiamento. Tuttavia, doveva sviluppare nelle donne del suo tempo una consapevolezza del proprio grande valore che andava cercato oltre che nella famiglia, anche nella società e, per quel nuovo ruolo nella vita civile, Armida pose a tema la sua opera innovativa di educazione e valorizzazione che riuscì a cambiare il volto della società italiana.
Sapeva di dover prendersi cura di studenti e studentesse e anche delle operaie oltre che per i problemi legati al sapere anche per i problemi di tutti i giorni e non nella modalità proposta delle “suffragette socialiste”, ma mettendosi totalmente a disposizione per operare quella “aratura civile” capace di dissodare un terreno che non aveva più conosciuto la pratica partecipativa democratica rafforzata dalla fedeltà assoluta alla Chiesa.
Bisognava convincere a studiare ragazzi e ragazze di tutto il Paese, soprattutto nel Sud, perché lo Stato aveva bisogno di giovani preparati per ricostruire un contesto sociale dopo la grande guerra. Era inoltre fondamentale che il popolo dei cristiani potesse vivere un’autentica fedeltà alla Chiesa per coltivare una fede che non fosse ridotta a devozione e, precorrendo di 50 anni il Concilio Vaticano II, Armida diffonde in tutt’Italia migliaia di copie della traduzione dei testi liturgici per una partecipazione alla messa “del popolo di Dio” che facesse crescere la qualità del credente.
L’insegnamento che Armida propone “non come maestra, ma come sorella fra le sorelle” affinché le giovani donne prendano coscienza e scoprano la loro dignità di donne cittadine e cristiane, consiste soprattutto nell’alimentare la propria fede con letture e meditazioni: “essere per agire, istruirsi per istruire, santificarsi per santificare”. Poiché questo aspetto riguardava anche la Chiesa al suo interno, quella che all’inizio fu l’esperienza milanese della Gioventù femminile Cattolica, su sollecitazione di Papa Benedetto XV, si estese a tutta l’Italia, che Armida si impegnò a percorrere per far uscire di casa le donne, farle parlare in pubblico, perché diventassero protagoniste della vita della Chiesa e della società, a causa della mancanza di formazione e di protagonismo che confluiva nella cosiddetta “questione sociale”. Questa “rivoluzione femminile” oggi, pur facendo grandi passi, non si è ancora conclusa.
Con Padre Gemelli fonda l’”Opera della Regalità” per avvicinare il popolo cattolico alla liturgia, a cui si affianca l’Istituto Popolare “Ludovico Necchi” con lo scopo di discutere con rinnovata energia sui problemi politici economici e sociali, poiché la cultura, in quanto dimensione della fede, doveva essere il luogo dove formare un pensiero a partire da un’antropologia capace di leggere una realtà complessa: vivendo un percorso di ricerca in modo dinamico e con un’applicazione che mettesse sempre al centro l’uomo, risollevando la cultura cattolica dell’epoca, combattuta fra positivismo e idealismo e liberarla da quel materialismo che veniva proclamato dal “pensiero libero”.
Armida Barelli venne beatificata il 30 aprile dello scorso anno nel Duomo di Milano dall’Arcivescovo Mario Delpini che ne esaltò la figura femminile che ancor oggi può dire molto sul ruolo delle donne nella Chiesa ed essere origine di “un cattolicesimo inclusivo, accogliente e universale, per incidere nella società e per consentire alle donne di essere decisive per cambiare il mondo.”
Armida Barelli una figura, dunque, di grande attualità: “l’apostola, la sorella maggiore, e ricchezza per tutta la Chiesa che ci può indicare la strada da seguire” come ha sottolineato Papa Francesco il 22 aprile di quest’anno agli oltre dieci mila fedeli riuniti in piazza S. Pietro, ringraziando l’Università Cattolica del Sacro Cuore, con l’augurio che la Beata Armida Barelli continui a ispirarne il lavoro.