Conferenza di Thomas M. King [1] s.j.

Chantilly (France), septembre 1987.

Teilhard ha spesso detto di essere sensibile ad una Realtà universale – il “Tutto”. Quando ha incominciato a cercare di esprimere questa idea in termini di fede Cristiana, l’ha chiamata la Volontà di Dio, presenza di energia divina dappertutto. Egli sosteneva che se si considera tutto ciò che capita come volontà di Dio, l’universo intero si trasforma. Per un po’ questo fu per lui il solo modo di comprendere ciò che aveva l’impressione di intuire. Ma più tardi, giunse a ritenere Dio una Attività creatrice universale (ETG)[1].

Queste prime tappe del pensiero di Teilhard si accordavano con una spiritualità diffusa nei circoli cattolici alla fine del XIX° sec., spiritualità che aveva trovato la sua espressione classica in L’Abandon à la Providence divine, scritto dal gesuita Jean-Pierre de Caussade, pubblicato in Francia per la prima volta nel 1861. Caussade ha riassunto così il suo messaggio: «abbandono totale e completo alla volontà di Dio, ma ha anche parlato di Dio all’opera in tutta la creazione, in ogni cosa: L’azione di Dio si inserisce nella minima fibra del nostro corpo e della nostra anima … è all’opera nella totalità dell’universo. Si accumula e penetra in tutte le cose create… la sua onda le spinge in avanti. … Gesù Cristo vive in tutto ed è all’opera nella totalità della storia fino alla fine dei tempi, … il minimo atomo di materia contiene un frammento della … sua azione segreta. … La fede trasforma la terra in un Paradiso … La fede ci fa vedere Dio in tutto il creato. La nostra fede non è mai più viva di quando ciò che noi vediamo con i nostri sensi la contraddice e cerca di distruggerla … Le sue mani increate fanno tutto per me. [… in tutte le difficoltà e i pericoli più mortali] … l’anima trova la pienezza della vita divina.» È così che Caussade parla dell’universalità ad un tempo della volontà divina e dell’attività divina; in questo modo le mani di Dio spingono in avanti la creazione; il mondo visibile in Paradiso. E il potere della fede è tanto più evidente quanto più i nostri sensi sono coscienti dei problemi e del pericolo.  

Le lettere di Teilhard indicano chiaramente che conosceva questa spiritualità prima e dopo essere entrato nei Gesuiti. Nelle lettere alla famiglia e ai colleghi gesuiti Teilhard lascia intendere che condivideva la convinzione comune secondo la quale la volontà di Dio impregna tutti gli avvenimenti. Alla morte di sua sorella scriveva ai suoi genitori: “Che sia fatta la volontà di Dio.” (LHP) Quando sua cugina era scoraggiata, le consigliava “Un abbandono totale alla volontà di Dio” “l’essenziale è rimanere nel posto che Dio ha voluto”. (GP, 86,82) Quando un compagno gesuita perse in guerra le due gambe, gli scrisse: “il vero conforto è che Nostro-Signore stesso, nel suo amore, vi ha preferito così…” (Inédit, Geuser, aprile 1916) Nel suo Journal, cita un altro Gesuita evocando un messaggio simile: ogni volta che un soldato muore in guerra “costa che una vita piena di vigore e speranza sia divorata così in un minuto: ma cosa importa se è la volontà di Dio…?” (J, 50)

Quando Teilhard, sul fronte della 1a guerra mondiale, era a confronto con la carneficina, lui (e altri) si appellavano alla volontà di Dio presente dappertutto. Era il contesto generale del Cattolicesimo – o del cattolicesimo gesuita – dell’epoca. Questo sentimento che Dio fosse all’opera in tutti gli avvenimenti, per dolorosi che fossero, era molto diffuso in Francia attorno al 1900 e fu il punto di partenza del pensiero di Teilhard sul male.

Nel settembre 1916, Teilhard ricevette una lettera dalla moglie di Jean Boussac che diceva che suo marito era stato ucciso in guerra. Boussac era un buon amico, professore di geologia all’Institut Catholique e Teilhard pensava di poter essere suo collaboratore dopo la guerra. Teilhard ha annotato le sue prime reazioni sul Journal: avrebbe rinunciato al lavoro in geologia, non si sarebbe più occupato di alcun progresso umano e si sarebbe aggrappato a Dio. (J, 107) Mai poi riprende in mano se stesso, e dice di rendersi conto di nuovo che il fatto dell’evoluzione avanza egualmente attraverso il dolore. La sua conclusione fu che il progresso ha senso anche se comporta delle sofferenze.  Parla d’una ripresa in mano di se stesso e dichiara di rendersi di nuovo conto del fatto che l’evoluzione avanza egualmente attraverso la tristezza. Conclude che il progresso ha senso anche se comporta dei rischi. Fece appello all’economia della Croce e alla certezza che si trova nella Scrittura: “Dio fa concorrere tuto al bene di coloro che lo amano.” (Ro, 8,28)[2]

Nell’apprendere la morte di Boussac, Teilhard ebbe due reazioni opposte (abbandonare il progresso e non abbandonare il progresso), ma nei due casi la sua fede in Dio fu sollecitata. Nel 1916, all’età di 35 annni, la sua visione spirituale si stava ancora sviluppando. Ma molti anni dopo, Nel 1934, quando un altro collaboratore morì improvvisamente, Teilhard trovò consolazione in una fede simile: dopo la morte inattesa di Davidson Black, si lamenta dell’ « opprimente atmosfera dei rimpianti agnostici » (LV, 176)

Quando Teilhard pensò di rinunciare al progresso (la sua prima reazione dopo la morte di Boussac), parlò di volontà da parte sua di danzare un: “Io triumphe” sacro (era un grido di esaltazione lanciato nella Roma classica per celebrare una vittoria). Una danza trionfale poteva sembrare qui una risposta inappropriata. Ma in un saggio successivo degli Scritti del tempo della guerra (L’Ambiente mistico) egli invocò lo stesso canto in numerosi momenti di tristezza: dopo un insuccesso non identificato non sentì la pena che avrebe pensato, ma “al contrario una gioia inattesa, gloriosa, ha fatto irruzione dentro la mia anima.” (ETG, 167) egli pensava che se anche una rovina totale avesse distrutto «l’edificio di ricerche e di affetti che sono l’opera della mia esistenza», griderebbe ancora “Io triumphe“. Anche la morte provocherebbe l’”Io triumphe“. E quando la sofferenza venisse a dissolvere il suo essere, griderebbe in estasi. (ETG, 168)

In ogni caso Teilhard non reagisce con dolore, e non  sopprime le emozioni come gli Stoici, – ma piuttosto, esulta! Nella disfatta trova «una gioia […] gloriosa”, nella morte un “trionfo”, e nella sofferenza un’ “estasi”.»

Si possono capire queste reazioni se ci si rende conto della forte credenza di Teilhard nella trascendenza divina e nella sua relazione con il mondo secolare e la sua fede con un’eventuale unione con il Dio trascendente. La fede non si riassume in una semplice accettazione delle credenze cristiane; essa modifica l’esperienza stessa: la disfatta è risentita come una vittoria. Ci sono parecchi paradossi negli scritti di Teilhard durante la guerra: per esempio la guerra gli ha permesso di entrare in “un ambito di spiritualità superiore.”! (ETG, 422) Diceva ad altri preti “Questo grande conflitto … ci ha permesso…di comprendere la nostra vocazione.” La guerra gli ha fatto scorgere “La Terra Promessa”, aveva nostalgia della “linea mortale” delle trincee. Esultava nelle “crisi”, perché allora il suo spirito si trovava “in preda a un estremo sentimento di presenza”. (ETG, 432)

Teilhard non dice che la fede cristiana può dare una certa dose di consolazione nel caso di una perdita; parla di una gioia e di una spiritualità più alta che percepiva in tempo di crisi.  Egli è trascinato dalle «energie dominanti che fanno piegare e inginocchiare le nostre resistenze» (GP, 203) ed era felice di essere «il ciottolo fatto rotolare dall’Oceano Divino.» (GP, 138) Quando era «dominato e sballottato da una potenza che nulla di umano potrebbe dominare» provava «quasi fisicamente che Dio mi afferra e mi stringe più da vicino.» (GP, 269) Una sensazione fisica di Dio lo invadeva – esperienza profonda, a colpo sicuro. Queste espressioni sono uscite dalla penna di Teilhard, ma è un sentimento che condivide con Caussade e altri scrittori spirituali che l’hanno preceduto.

Teilhard non ha tenuto per sé questa visione spirituale. L’ha passata ad altri, per consolarli della loro pena. (LV, 155, 280; Inedito, lettera à Mme Arsène-Henry del 24/11/43; Li, 350, 351). La morte della moglie d’un amico, o del figlio di suo fratello erano degli avvenimenti “adorabili”. Il male apparente era una benedizione! Questo paradosso prende alla sprovvista e spinge a vedere al di là della reazione convenzionale. Ma è questa spiritualità che l’ha guidato tutta la vita.

Quando Teilhard ebbe conoscenza delle restrizioni apportate dalla Chiesa ai suoi scritti dichiarò: «In fondo, sono perfettamente in pace. Anche questo è una manifestazione di Nostro Signore e della sua azione» (Li) La lotta per accettare tali restrizioni e obbedirvi gli fu assai penosa ma –ecco ancora il paradosso – in mezzo alla sua pena diceva di provare “una gioia profonda.” (Li, 118) egli voleva consigliarci la stessa maniera di lottare contro il male: «Credere al fine di cercare in pieno buio, l’aurora di Dio.» (ETG, 355, 361) Queste citazioni sono tratte da “La Fede che opera” quel che vuol dire è che la fede trasforma la totalità del mondo – più le cose sembrano andare per traverso più la fede rende la vittoria evidente; la fede capovolge tutto. Ecco che è certamente nella tradizione di Caussade, perché Caussade aveva proclamato che per mezzo della fede noi abbiamo la possibilità di scoprire la pienezza di Dio in modo più intenso nei momenti di difficoltà e di pericolo.

Ma c’è una differenza significativa tra Teilhard e Caussade. Teilhard offre una visione del mondo innovatrice, in cui ciò che l’uomo realizza sulla terra ha un’importanza spirituale. Il progresso fa parte del lavoro divino della creazione; costruendo un mondo migliore, cooperiamo all’opera divina consistente a rendere manifesto il Corpo di Cristo. Caussade scrivendo nel XIX° secolo, non prendeva in considerazione né teologia del progresso né del lavoro dell’uomo; al posto di ciò spingeva la gente ad accettare il loro stato di vita – visione del mondo conservatrice che non lascia posto al progresso. Teilhard insisteva sul fatto che il mondo si è sviluppato attraverso l’evoluzione e che l’impegno dell’uomo prosegue questa avanzata. «La Potenza, che attraverso secoli di vicissitudini è pervenuta a formare il cervello umano non potrebbe essere alla fine della sua forza e delle sue capacità d’azione…» (ETG, 421) Poiché le leggi della probablità non hanno mai potuto spiegare la crescita della vita (vedi PH, 69, 258; ETG, 339), Dio deve essere attivo nell’evoluzione, all’opera contro il caso per portar un maggior bene. L’azione di Dio nel mondo, è l’unificazione continua dell’universo in Cristo. Per Teilhard, la lotta dell’evoluzione può essere identificata con l‘azione di Dio.  Mai Teilhard ha dovuto far fronte a un probema che Caussade poteva ignorare: sapere come l’insuccesso potesse far parte del processo.

 Apprendendo la morte di Boussac, Teilhard ha scritto nel Journal: «Lo spirito si dibatte in seno a un chaos di energie indisciplinate. Mi stupisco, ma non è la formula stessa dell’evoluzione?» (J, 107-8). Che cosa l’ha stupefatto? Qual è la formula dell’evoluzione che gli ha consentito di comprendere il conflitto del suo stesso spirito?

Più tardi, Teilhard ebbe una “formula d’evoluzione” pertinente, che chiamò una “ricerca a tentoni”; cioè l’evoluzione avanza grazie a un “caso diretto”. Tutti gli eredi di Darwin – che dominano il paradigma contemporaneo – hanno proclamato che il caso (cioè una massa di variazioni aleatorie) è determinante nel meccanismo dell’evoluzione. Partendo da queste prospettive olistiche Teilhard andò oltre sostenendo che l’evoluzione ha una direzione. Dal febbraio 1913, espresse questa opinione in una lettera che andò al di là dell’ortodossia darwiniana: «È da riconoscere che la teoria della Selezione Naturale (il Darwinismo) […] è assolutamente incapace di spiegare la comparsa di queste forme nella direzione seguita dall’insieme di tali forme.» (Inedito, Monestès, 22 febbraio 1913; ETG, 199)

Per Teilhard, la direzione implica “una mano che dia la direzione”; cioè un Dio. (Questa potrebbe essere la principale ragione per la quale la maggioranza dei biologi respinge la possibilità per l‘evoluzione di avere una direzione. Essa suggerisce una teologia naturale che la più parte degli scienziati si rifiuta di introdurre nei loro lavori, anche se sono credenti, qualsiasi appello all’azione di Dio parrebbe violare l’integrità della scienza.)

Proseguendo nella sua visione, Teilhard ha visto la coscienza umana come l’avanguardia dell’evoluzione e l’agente del suo sviluppo. È l’elemento spirituale che “lotta in un chaos di energie indisciplinate.” Così la sua argomentazione sostiene che «nel cuore del nostro essere, la grazia divina si mescola agli impulsi della Terra.» (ETG,355) Ma tale associazione interviene se noi siamo nella frangia evolutiva della creazione – e durante la Guerra Teilhard pensava di trovarvisi.

Quando fu arruolato, il regime al quale Teilhard era abituato cambiò radicalmente. Nel dicembre 1914, lasciò la stabilità della sua vita religiosa e dopo qualche settimana di formazione militare, si trovò sul campo di battaglia. Al fronte, i parametri ordinari che forniscono equilibrio e controllo all’individuo (pasti regolari e periodi di sonno) non c’erano più; da un istante all’altro la sua vita dipendeva dal caso. Ma in questa circostanza, il suo senso di Dio fu molto più intenso. Doveva spiegarsi come nelle trincee viene rivelata “una Personalità d’un altro ordine”, una luce è accesa, si ha la sensazione di un’anima più alta. Egli non dichiarava semplicemente che la fede gli assicurava che Dio era presente anche negli orrori della guerra. Si faceva direttamente l‘esperienza della presenza e dell’azione di Dio; l’azione di Dio sembrava più vitale nel chaos della battaglia che nella regolarità della vita quotidiana. In breve, Dio pareva più presente nell‘instabilità della guerra che nella stabilità dell’ordine religioso!

Teilhard ha scritto: «Il Caso […] riserva il posto a Dio nella direzione del Mondo. Attraverso lui (e anche […] attraverso la libertà umana?) s’inserisce nell’Universo la potenza creatrice”» (ETG,352) Riflettendo sulla fisica moderna, Einstein rifiutava la teoria dell’indeterminazione dicendo che Dio non gioca ai dadi con l’Universo.  L’idea di Teilhard era che l’evoluzione é una sorta di gioco di dadi, ma che i dadi hanno una carica! Le ultime teorie matematiche sono a favore di questa posizione. (Ian Stewart, 1989). È chiaro che c’è una direzione nell’attività aleatoria dell’evoluzione, cosa che suggerisce un minimo di controllo. Essendo tutti i giorni a confronto con il rischio di morire, secondo “il caso” della battaglia, Teilhard aveva la sensazione percepita direttamente che “la potenza creatrice s’inseriva nell’Universo.” Di conseguenza affermava che “la coscienza cosmica” nasce e diventa più attiva – non quando tutto si svolge senza urti – ma nei periodi di crisi. (ETG, 432)

Attraverso le esperienze del tempo di guerra, Teilhard vide che il caso, le crisi, i pericoli, le forze che destabilizzano la vita, ossia l’incoerenza evidente della materia, fanno parte integrante dell’evoluzione e per questo, del proprio approccio a Dio. Gli avvenimenti dovuti al caso sono un “medium nutritivo” che ci permette di crescere. (AE, 113; ETG, 222-223; J, 223) Teilhard scrisse un saggio intitolato La Nostalgia del Fronte che tratta de “l’Anima più alta” che lui vi ha incontrato; in situazioni di pericolo ha visto la luce illuminata dal pericolo. Ed è giunto a dichiarare «il pericolo è un sintomo di potenza […] Più una cosa è pericolosa, più la sua conquista è ordinata dalla Vita.» (DA, 81,82)

Il pericolo costituisce l’avanguardia dell’evoluzione; si trascendono le costrizioni della legge naturale, e tutto sembra fluttuante, ma è là che si può trovare Dio – è là che si può vedere la mano di Dio che dirige gli avvenimenti. Fare l’esperienza del caso, significa trovarsi nel luogo pericoloso dove non c’è più la sicurezza e dove la potenza creatrice di Dio entra nell’universo. (ETG, 352) Poiché l’evoluzione è il caso che segue una direzione, quando il caso è più intenso noi facciamo al meglio l’esperienza della direzione divina. Come scrive Teilhard, «È solo quando il pericolo minaccia […] che il Futuro ci si rivela distintamente. […] Coloro che non hanno corso il rischio di morire non hanno mai scorto completamente ciò che c’era davanti a loro.» (ETG, 343) Cioè si conosce il caso e la direzione divina nello stesso tempo. Quando le cose sono destabilizzate possiamo vedere meglio dove andiamo nel futuro, un futuro con un Dio trascendente.

Questa affermazione è sovente implicita: «Con la guerra […] si era aperta una finestra sui meccanismi segreti e gli strati profondi del divenire umano.» (ETG, 240) «Con il grande contraccolpo da cui usciamo, abbiamo guadagnato la comprensione della nostra vocazione…» (ETG, 427); essa ci ha rivelato la Terra Promessa. In ogni caso è una situazione di instabilità radicale – le hasard – che ha indicato a Teilhard la direzione dell’avvenire. Il pericolo gli ha permesso di vedere il principio di unità che dava forma agli avvenimenti (ETG, 240, 241). In altri termini l’evoluzione è un’avanzata nell’improbabile; è il motivo per cui va al di là dei poteri della natura. Andando al di là della natura si può scorgere l’imprevedibile Dio trascendente che dirige la natura. Al cardine dell’evoluzione, dove nasce l’improbabile, si può incontrare la mano di Dio. «…sulla frangia continuamente nascente del mondo.», Dio continua la sua opera. (ETG, 445).

Se ci si astrae dalla teologia che ciò implica, questa affermazione colpisce per una somiglianza con il pensiero d’Ilya Prigogine, premio Nobel per la chimica, a proposito del quale ha scritto così bene James Salmon, s.j. (1987). Prigogine parla di sistemi chimici che passano dal chaos a forme d’ordine nuove e inattese.  Mai ciò che più colpisce è il fatto che tale passaggio non si produce se non quando il sistema è in ambito radicalmente instabile. Come l’esprime Prigogine, l’ordine nasce attraverso situazioni lungi dall’essere equilibrate. Il fatto di destabilizzare un sistema chimico non conduce a maggior disordine ma a uno stupefacente nuovo stadio di organizzazione. Prigogine afferma: “Le condizioni non equilibrate introducono una coerenza assolutamente incongrua.” (Order out of Chaos) ancora una volta, come in Teilhard, è l’instabilità (un sistema non equilibrato o il chaos della guerra) e non la stabilità, che produce nel sistema un ordine nuovo.

Tuttavia, parlare di chaos, di hasard, di pericolo o d’instabilità non è la stessa cosa che parlare del male, perché ciascuna di queste caratteristiche può avere un risultato sia positivo, sia negativo. Il momento in cui è possibile un’avanzata creativa è anche quello in cui si può produrre un risvolto doloroso. Comunque sia il risultato, in queste incertezze vediamo al di là dei determinismi naturali e diventiamo coscienti di una direzione divina. Molte “leggi di natura” sono in effetti fabbricate da noi. Il pericolo ci conduce oltre l’ordine relativo che noi abbiamo creato. Vedendo oltre la natura, troviamo «la traccia d’una energia sintetizzante e direttrice, che agita e sospinge la moltitudine delle creature verso uno stato superiore di Unità» (vedi ETG, 250) questa “energia direttrice” diventa più visibile durante i periodi di crisi.

Tuttavia, se si può trovare Dio di volta in volta nei progressi o negli insuccessi, allora che cosa ne è escluso? Evidentemente è la stabilità – durante i periodi di equilibrio abbiamo la tendenza a sviarci. Teilhard pensa che è per errore che proiettiamo la nostra sensazione di stabilità nella supposta stabilità della natura. (GP, 75-76) Così spiegava: «Non conferisco alcuna ‘stabilità divina’ all’ordine naturale. Direi piuttosto che quest’ordine è caratterizzato da una instabilià radicale ‘in Christum’.» (Li, 35) Si può trovare Cristo attraverso l’instabilità dell’ordine naturale. È così che Teilhard parlava della ricerca di Dio “comunicando con il Divenire delle cose.”  (LV, 248, 275), e non l’Essere delle cose. Si conosce l’essenza unica di Dio attraverso due estremi: «sotto l’azione personalizzante della riuscita e sotto l’effetto centrifugo del dolore.» (ETG, 432)

Allora, che cosa ne è escluso? La stabilità. Teilhard identifica la grande minaccia sociale: la noia. Noi ci annoiamo perché la Luce superiore, Il Fuoco al di sopra di noi sono nascosti, mentre la crisi li rivela. In situazioni di noia noi perdiamo il gusto di vivere. Al fronte, Teilhard fece l’esperienza che non avrebbe mai desiderato di vivere. E altrettanto non era d’accordo di morire.

Teilhard vide anche la possibilità d’un conflitto nascente tra i fissisti e i partigiani della mobilità ed espresse la sua posizione: la Mobilità era il solo valore per il quale vale la pena di morire. (AH, 210) Due suoi saggi “Le Prêtre” e “La Messe sur le Monde” traducono magnificamente la nostra comunione con Dio attraverso tutto ciò che avanza e tutto ciò che avvizzisce. Nel medesimo modo Le Milieu divin parla d’una comunione con Dio attraverso la nostra crescita e le nostre diminuzioni. Ma nessuno di questi scritti ci svela una comunione con Dio attraverso uno stato, attraverso la stabilità. Si può scoprire Dio nelle due energie contrarie della gioia e della sofferenza.” (ETG, 331) La stabilità, la noia e una tranquilla indifferenza sono disgiunte dal fronte, dall’avanzare dell’evoluzione. Se ci attacchiamo alla nostra sicurezza, non c’è posto per il caso, per conseguenza non si riconosce nessun direttore divino e si perde la sua strada. La Guerra fece di Teilhard un pellegrino dell’avvenire, un pellegrino della Terra Promessa, un pellegrino della luce che illumina il pericolo. Noi forse abbiamo paura dell’avvenire –  Teilhard ci spinge ad accettare di tuffarcisi. Allora noi vedremo. «Perché solo gli audaci accedono al Regno di Dio.» (ETG, 360)

Se ci si attiene a questi passaggi, sembrerebbe che Teilhard praticasse e predicasse una forma di “strategia del bordo dell’abisso”. Ecco come possiamo illustrare tutto ciò con un passaggio del Vangelo (Mat 14) che ha citato in numerose occasioni. Tardi nella notte i discepoli di Gesù erano su una barca e furono terrorizzati quando videro Gesù che camminava verso di loro sulle acque. Pensarono che fosse un fantasma, e si aggrapparono alla sicurezza della loro imbarcazione. Ma Pietro mise in atto la strategia del bordo dell’abisso: uscì dal battello e camminò sulle acque verso Gesù. Ecco qual era l’ideale di Teilhard, ci consigliava di affrontare il rischio consistente là “dove pensavamo di affondare, per farci tendere la mano da Gesù.” (ETG, 358, 217)[3]

Ci sono similitudini tra Teilhard e Caussade quando si tratta del male; entrambi fanno appello a una fede in Dio attraverso la quale il mondo viene integralmente trasformato. Ma Caussade non ha situato la sua spiritualità nel quadro di un un cosmo in evoluzione dove il progresso ha un senso. Teilhard considerava una cosmologia dinamica che dava spazio a un valore spirituale proprio della “riuscita umana”, ed è forse il suo contributo più originale. Ma la sua cosmologia offriva anche un contesto nel quale poteva comprendere perché è nell’instabilità che si può trovare Dio. riflettendo sulla morte di Boussac nel 1916 che stabilisce questa connessione; il suo spirito turbato si situava all’interno del movimento fondamentale dell’universo (l’evoluzione) e lo lasciava stupefatto.

Per Teilhard, le esperienze positive quanto quelle negative erano essenziali. Gli scacchi e gli insuccessi ci hanno malgrado tutto permesso di crescere e di andare più in profondità, la morte resta “la leva” dell’evoluzione. Il caso ci ha nutriti capovolgendo i nostri progetti semplicistici e di fatto con la sua apparente indifferenza. Teilhard diceva dunque:

“Benedetta sia tu, aspra Materi,…Benedetta sia tu, mortale Materia….., senza i tuoi attacchi . […] vivremmo […] ignoranti di noi stessi e di Dio !” (ETG, 478)

Gli sradicamenti della materia, che noi definiamo caso, il bene inatteso e il male inatteso, sono le opportunità le cui lezioni ci permettono di sapere ciò che noi possiamo diventare e di conoscere Dio.  Teilhard se sentiva chiamato a scavare il proprio cammino attraverso questa turbolenza di materia – la chiamava la Strada del Fuoco. Il saggio “La Potenza spirituale della Materia” avrebbe potuto essere intitolato “La Potenza spirituale del Caso.” Il caso è il fuoco che brucia, che mette alla prova, che illumina.

Teilhard è a giusto titolo conosciuto per l’importanza che dà all’azione dell’uomo nello sviluppo della terra. Quando parlava della Provvidenza divina, non voleva certo dire che noi non abbiamo bisogno di agire – ma piuttosto che affrontando un pericolo o una necessità (per esempio l’effetto serra causato sul pianeta dalla polluzione globale), noi possiamo approfondire il nostro senso di umanità e estendere le nostre capacità spirituali lavorando su tali problemi. Non ci svilupperemmo del tutto se tutto ci fosse già dato (una tale provvidenza non sarebbe provvidenziale.). Anche la minaccia di una guerra nucleare può essere una benedizione se vi rispondiamo eliminando tutte le guerre. La minaccia può servire a unificare il pianeta – ma non senza la nostra risposta. Per Teilhard, tale crescita interiore (la coscienza) può far avanzare l’evoluzione della terra in modo più significativo dello sviluppo fisico (la complessità) reso possibile dalla “statis”. Teilhard non si augurava in nessun modo che noi fossimo compiacenti nei confronti del male; il male può offrire l’opportunità di crescere. Ecco la strada del fuoco.

Caussade e Teilhard avevano molto in comune. Entrambi facevano profondo appello alla fede, e a mio modo di vedere ciascuno di loro ha una sua giustificazione. Facevano appello a qualche cosa che, secondo la mia esperienza, è vitale: una sorta di gioia “più alta” che mi ha invaso in momenti di tristezza. Un modo per capire questo fenomeno è il riconoscere che abitualmente sono le cose banali del momento che mi occupano; esse costituiscono il nervo della mia vita e non posso vedere al di là. Ma quando sono messo a confronto con un improvviso inganno, i valori della finitudine scompaiono e io vedo oltre il finito, penetro nel regno superiore del reale, dove c’è una presenza illusoria che la stabilità apparente del mondo aveva nascosto.

È un modo di vedere diverso – vengo improvvisamente messo a confronto con un mondo strano e meraviglioso. E la meraviglia è l’inizio della saggezza.

Teilhard si è spesso opposto agli esistenzialisti, e pertanto anche lui ha portato i suoi lettori verso un abisso esistenziale. Soprattutto ne Le Phénomène humain ha parlato d’un turbamento moderno e si è chiesto se possiamo continuare a vivere con il dono terribile che è la possibilità di prevedere. Ci ha condotti verso un abisso di incertezza dove l’avvenire offre sia un pessimismo radicale, sia un ottimismo radicale. Non ci sono mezzi termini. Ecco la strategia dell’orlo dell’abisso.  Ciò che gli scritti degli esistenzialisti, come quelli di Teilhard, fanno di meglio: eliminano la via intermedia delle soddisfazioni limitate e delle preoccupazioni quotidiane. La vita ci impartisce le sue lezioni con le sue tragedie e le sue gioie abbaglianti. Alla fine, c’è sia un Tutto radicale, sia un Nulla radicale. C’è adorazione o disperazione. Come gli esistenzialisti Teilhard ci porta a questo punto limite e ci chiede di fare una grande opzione. (PH, 258) Se noi crediamo, è il Tutto. Nessun mezzo termine.

Dieci anni fa il celebre libro, La Vie après la Vie, ha parlato di numerose persone che, dopo una morte apparente, furono riportate in vita con delle tecniche della medicina contemporanea. Molte videro “un Essere di Luce” durante la loro esperienza di morte imminente. Dopo aver visto questo Essere, si sentirono del tutto rassicurate che tutto sarebbe andato bene, certezza che avrebbero conservato per tutto il resto della loro vita. Al momento della loro morte apparente, quelle persone hanno capito il carattere poco importante di tutto ciò che è materiale, ma esse videro anche una Luce immortale. Quando ritornarono nel loro mondo famigliare, apprezzarono la vita in modo molto più profondo. Non è forse qualcosa di simile che Teilhard percepì al fronte dove ha detto di aver incontrato una “luce illuminata dal pericolo”? Il pericolo e “la morte imminente” ci aprono gli occhi su delle cose che la stabilità quotidiana ci impedisce di vedere. Come nel caso de La Vie après la Vie, il campo di battaglia mostrò a Teilhard che la sua vita era più preziosa che mai. (ETG, 234-235)

Riguardo a ciò, quando insegnavo teologia all’Università di Georgetown, mi ricordo di uno studente che mi ha raccontato di non aver mai avuto l’occasione di pensare a Dio fino a un giorno in cui, mentre era al volante della sua vettura su un’importante autostrada, il volante si staccò.  La vettura fece degli zig-zags e traversò la barriera centrale retrovandosi nell’altro senso. Egli si ritrovò in preghiera – perché in quel momento seppe che Dio era là. Gli esempi de La Vie après la Vie e quello di questo studente non possono forse aiutarci a comprendere l’esperienza di Teilhard al fronte e ritrovarvi “la luce misteriosa e sacra accesa dal pericolo”?

Una religiosa americana che si è a lungo occupata di aiuto a dei prigionieri mi ha detto che aveva dato L’Abandon à la Providence divine di Caussade a parecchi di loro – la maggior parte aveva alle spalle una vita difficile e un’educazione minima. Mi ha detto che vi avevano trovato un valore straordinario. Esso diede loro una visione del mondo radicalmente nuova e un po’ di pace alla loro vita. Caussade non cerca di minimizzare la realtà del male, ma offre una fiducia totale in un mondo non sensoriale. Non tira pugni ed è meglio dei libri che contengono ciò che Teilhard chiamava “l’atmosfera soffocante delle condoglianze agnostiche”, le quali cercano di mascherare la vera natura della vita, e in fondo la più parte della gente non possono accettare. Esse hanno la sensazione d’essere ancora di fronte sia della disperazione, sia dell’adorazione.

Ma gli scritti di Caussade e di Teilhard hanno un altro vantaggio. Ho constatato che molte persone interpretano le loro sofferenze o le loro disgrazie come conseguenza della collera di Dio; hanno l’impressione confusa che Dio le punisca. La sola ragione che hanno di credere in Dio è questa convinzione: “Qualcuno deve odiarmi, se no la mia vita non sarebbe quella che è.” Ecco ciò che non è raro, ma che diventa il peggio nella sofferenza. C’è una semplicità nei testi di Caussade come di Teilhard che riescono a toccare i nostri atteggiamenti segreti e istintivi.  Di quale cambiamento di punto di vista faremmo l’esperienza se considerassimo retrospettivamente gli avvenimenti traumatizzanti del nostro passato e se dicessimo la “preghiera” di Teilhard «Benedetta sia tu, aspra Materia… Benedetta sia tu mortale Materia… senza le tue aggressioni, senza i tuoi sradicamenti io sarei rimasto inerte e stazionario; sarei rimasto nell’ignoranza di Dio e anche di me stesso.»  Ma se possiamo pensare agli avvenimenti aspri e mortali della nostra vita e dire questa preghiera, ciò può rendere molto diversa la nostra situazione presente. In effetti può cambiare la Realtà universale, il Tutto. Molta gente potrebbe trovar pace se potesse dire con Teilhard: «Io benedico le circostanze […] le fatalità della mia carriera. Benedico il mio carattere, le mie virtù, i miei difetti… le mie tare. Mi amo così come mi sono ricevuto e come il mio destino mi forma.» (ETG, 71)

Molta gente non si ama e maledice i propri mali e il proprio destino ogni giorno. Così il male ha su costoro un potere mortale perché pensano sia di essere oggetto della collera divina, sia di essere un errore insignificante in un universo stupido. Come le nostre vite diventerebbero profondamente diverse se fossimo capaci di vedere Dio in azione e presente in tutto ciò che capita. È quello che Teilhard vorrebbe insegnarci.

Parecchi scritti di Teilhard – particolarmente quelli scritti durante il tempo di guerra – presentano come il meglio ciò che sembrerebbe il peggio (la morte è un trionfo e così di seguito). Ma ciò non è lontano dal messaggio del Vangelo. I Vangeli presentano la crocifissione di Cristo come la sua ora di Gloria; si potrebbe dire anche lì “Io triumphe“. Si considerano i Vangeli, con il loro racconto della crocifissione, come una Buona Novella. A suo modo particolare e strana, la crocifissione come buona novella ha del senso; forse ci parla della nostra propria esperienza: delle ore di angoscia che avrebbero potuto essere i nostri momenti migliori – delle ore che ora riguardiamo retrospettivamente e che benediciamo. Ci hanno rivelato un destino che la natura non può contenere. Il mondo ordinario non è sovente altro che una stabilità apparente che noi abbiamo trasformato in norma. Al di là di questo iato una Luce strana è stata accesa per dirigere gli avvenimenti della nostra vita “au hasard”.

L’Antico Testamento cita a lungo le afflizioni del popolo Ebreo; eppure si consideravano gli eletti di Dio! Erano infatti eletti per conoscere la sua rivelazione, ma una rivelazione che ricevevano solo nelle crisi. Nell’instabilità dell’Esodo o nella cattività a Babilonia vedevano la direzione intenzionale di Dio. Durante la cattività di Babilonia, Isaia diede agli Ebrei il seguente messaggio: Qualcuno verrà come Messia e Servitore Sofferente. In fin dei conti furono gli Ebrei con le loro fatiche che hanno rivelato all’umanità l’affermazione incredibile che Dio è la Provvidenza; che è infinitamente buono e amante. Ciò non era così chiaro come ai nostri giorni. In mezzo all’oppressione che subivano gli Ebrei proclamavano al mondo che Dio si occupa con amore di ogni creatura.

Ai giorni nostri sembra che una simile profondità di fede la si trovi in Polonia e tuttavia sarebbe difficile trovare una nazione che abbia conosciuto altrettanta afflizione nel corso del XIX° secolo.  Una volta, Darwin ha fatto un’allusione alla quantità di sofferenza che si è accumulata nel corso delle ere e ha commentato: “che rendiconto potrebbe scrivere il cappellano del Diavolo!” È vero, ma molti hanno osservato che la stessa sofferenza poteva essere il tocco e il segno di Dio. Ho conosciuto un gesuita americano, Walter Ciszek, autore di He Leadeth Me, che ha passato 15 anni in una prigione sovietica – di cui cinque anni in isolamento – raccontava che è là che aveva capito che cos’è la provvidenza divina.

Teilhard dava a molti amici che avevano perso una persona cara questo consiglio: “Tutto ciò che capita è adorabile.” Questa formula riconosce l’immensa estensione della pena umana, che pare infinita. Il nostro dolore ci rivela la nostra finitezza – e ci rivela che noi siamo infiniti. Nella nostra sofferenza non siamo capaci di comprendere se non un assoluto: un ottimismo assoluto o un pessimismo assoluto. Non c’è una via di mezzo; non possiamo o disperare o adorare. Che lo vogliamo o no siamo tutti coinvolti nella strategia dell’orlo dell’abisso. Tentiamo di mantenere una stabilità, ma essa ci è tolta. Abbiamo paura di ciò che è davanti a noi e cerchiamo di agganciarci ai beni limitati che possediamo. Ma Teilhard voleva ricordarci il terrore dei discepoli di Gesù al momento dell’apparizione che avanzava sulle acque verso di loro. – Pietro è uscito dalla barca ed è andato verso di essa. Teilhard ci consiglia di fare lo stesso. È nostro compito camminare verso la potenza divina che trascina in avanti l’universo.

Teilhard, come altri mistici, ha scritto seguendo la propria esperienza. Egli ci dice che, se noi andiamo avanti come uomini di fede, la tragedia che ci fa soffrire ci sorriderà e ci sospingerà tra braccia più che umane. (MD, 172) Il termine sorridere è una immagine viva che rivela che Teilhard stesso ha attraversato numerose tribolazioni. Egli fa una raccomandazione difficile, ma che offre il vantaggio di essere uguale alla dimensione dei problemi ai quali siamo confrontati. Se andiamo verso il futuro con una fede come la sua, anche noi potremmo scoprirvi un sorriso.

Lista delle abbreviazioni degli scritti di Teilhard citati in questo saggio

 

AH      L’Avenir de l’Homme, Seuil, 1959.

AE       Activation de l’Énergie, Seuil, 1963.

DA      Les Directions de l’Avenir, Seuil, 1973.

ETG    Écrits du temps de la guerre, Grasset, 1965.

GP       Genèse d’une pensée, Grasset, 1961.

Inédit Lettres non publiées, consultables à la Fondation Teilhard à Paris. On peut aussi consulter des copies de nombreuses lettres aux archives de l’université Georgetown.

J          Journal 26 août 1915-4 janvier 1919, Fayard, 1975.

LHP    Lettres d’Hastings et de Paris, Aubier, 1965.

Li        Lettres intimes de Teilhard de Chardin, Aubier Montaigne, 1974.

LV      Lettres de voyage, 1923-1955, Grasset, 1956.

MD     Le Milieu divin, Seuil, 1957.

PH       Le Phénomène humain, Seuil, 1955.

                                             Traduz. dal francese di Annamaria Tassone Bernardi

[1] I riferimenti in tutto questo saggio sno abbreviati. Si troverà alla fine del testo una lista delle abbreviazioni.

[2] Questa citazione della lettera ai Romani – e delle varianti di sua mano su questo passaggio – è frequente negli scritti di Teilhard. e signfica che ” l’amore di Dio” o ” fede in Dio” hanno l‘effetto di trasformare  tutti gli avvenimenti.

[3] J.P. de Caussade propone un ideale simile quando raccomanda : quando siamo “colpiti dal terrore”, attraverso la fede noi possiamo “Andare avanti e non aver paura di niente’.”.