
di Luciano Mazzoni Benoni
PREMESSA : IL PERCHE’ DI UN ACCOSTAMENTO AUDACE
Rispetto a quanto abbiamo ascoltato dalle Relazioni, questa comunicazione si pone su un piano differente, limitandosi a trattare di un solo aspetto tematico estratto dall’opera di TEILHARD DE CHARDIN e raffrontato con le fonti paoline.
La motivazione prende le mosse dall’auspicio più volte manifestato da Joseph Ratzinger, prima negli studi teologici quindi nel magistero pontificio, dell’esigenza fattasi ormai urgente di offrire una capacità di linguaggio teologico adeguato alla nuova comprensione cosmologica scientifica e post-moderna. Il tentativo si muove in tale direzione, nella convinzione della genialità espressa da Teilhard nell’aver saputo proporre appunto per il nostro tempo una cosmologia cristocentrica (Piero Coda)[1].
INTRODUZIONE: L’IPOTESI DI RICERCA
Come è noto padre Teilhard ha proposto una prospettiva piuttosto originale, in ambito cristiano, a riguardo della concezione della vita che -contrariamente a precedenti visioni mortificanti della dimensione esistenziale e quindi fortemente sbilanciate verso l’al di là- privilegia e valorizza in ogni modo la dimensione materiale, fino a parlare addirittura di “Santa Materia”.
La critica ormai poderosa sull’opera teilhardiana ha messo ampiamente in risalto taluni suoi riferimenti biblici in specie, Paolo e Giovanni. Fu direttamente padre Teilhard a precisarlo in più occasioni; tuttavia ai suoi tempi l’esegesi moderna muoveva i primi passi e peraltro non era stata in grado ancora di identificare nell’ampio ‘corpus paolino’ i testi attribuibili all’apostolo, rispetto a quelli collocabili soltanto nella cosiddetta ‘scuola paolina’.
Viene qui assunta l’ ipotesi di lavoro secondo la quale detta visione -senza nulla togliere alle intuizioni perfino eccezionali di padre Teilhard ed alle sue ardite formulazioni del raccordo tra teologia e scienza- costituisca non un ‘novum’ in senso assoluto, bensì la ripresa di un sapere già presente nella Tradizione della Chiesa e, ancor prima, nella stessa Sacra Scrittura, appunto a partire soprattutto dall’apostolo Paolo. Visione cui il gesuita francese perviene partendo non dal testo biblico bensì dall’osservazione della natura (secondo il ben noto itinerario tomista, applicandosi invece all’osservazione empirica della disciplina paleontologica): senza peraltro proporsi né una elaborazione teorica (tanto meno filosofica e teologica) sistematica, bensì cercando di avanzare ciò che egli definisce “un’ipotesi probabile”.
A tal fine verranno isolati alcune categorie concettuali proposte dal Teilhard, per poi indagarne la presenza nelle fonti paoline, mettendone in luce genesi e valenze. Oltre allo studio diretto delle fonti, si trarrà frutto anche dagli studi esegetici non solo di autori cristiani ma anche ebraici (secondo lo spirito del Documento “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana” della Pontificia Commissio Biblica), soprattutto David Flusser ed Andre Caoraqui.
ARTICOLAZIONE DEL TEMA MATERIA IN TEILHARD DE CHARDIN
Rispetto al proponimento annunciato, si considerano soltanto tre concetti ricavati dalla sua elaborazione della Materia; concetti a loro volta costituenti altrettante piste di ricerca: Cosmo, Corpo, Cuore. Si evidenzia subito il loro rapporto biunivoco: connessione reciproca (del corpo col cosmo e del cuore col corpo) e loro carattere subordinato rispetto al Centro: così da ‘condividere’ col padre Teilhard la sua visione del tutto esistente, concepita come afferente ad un centro. Tutto per lui viene ricondotto al Centro: per cui una vera e propria ‘centrologia’ [tema ricorrente ma trattato in un apposito saggio del 1944] ordina e gerarchizza l’insieme dei fattori vitali, in vista e nella prospettiva di un Centro unificatore, il punto Omega.
SCRITTURA E TEOLOGIA IN S.PAOLO
Assumendo l’odierna configurazione delle fonti prime (dirette): 1 Tess, 1 e 2 Cor, Filemone, Filippesi, Galati, Romani, non si intende tuttavia escludere quelle seconde, onde accedere alla visione complessiva del ‘corpus paolino’ ed in particolare la sequenza escatologica riassunta nei termini di parusia e pleroma. Fatta la debita premessa sulle implicazioni assai complesse dell’orizzonte semantico giudaico-ellenistico che si riscontra nei testi paolini, valga il richiamo all’antropologia biblica ed a quella cristiana, segnata indelebilmente dal Mistero dell’Incarnazione, e dalla nuova economia di salvezza così inaugurata. Scontando dunque la lontananza linguistica della nostra comprensione rispetto a quella biblico, ove non compare mai il termine di Materia come oggi intesa, si sono anzitutto individuate le occorrenze dei termini sopra indicati (ampliati a termini limitrofi e prossimi); cercando pertanto di muoversi a cavallo fra la teologia biblica e quella spirituale.
L’ESITO DELLA RICERCA ESEGETICA SULLE FONTI PRIME
Gli elementi tratti dall’esame sembrano deporre sostanziosi e molteplici attestazioni dei concetti oggetto d’indagine, ricavandone una gamma assai ricca e variegata di significati, qui ricondotti a brevi osservazioni riassuntive:
Cosmo: rispetto alla visione cosmologica dei vari strati anticotestamentari (ove risulta assente un concetto univoco e riassuntivo) ed a quella dell’universo ellenistico, Paolo introduce nel NT una visione secondo la quale finalmente il cosmo è considerato secondo una prospettica cristologica e antropologica. Per Paolo kòsmos è l’universo, comprende tutte le cose: tà panta (Rm 11,36), di esso fanno parte la stessa umanità e perfino le pretese divinità (1 Cor 8,41): identico il termine in Gal 3,22 e in Rm 11,32. Senonchè, a differenza dell’armonia vista dal libro della Genesi, per Paolo il mondo ha perduto armonia ed equilibrio, ed è pertanto chiamato con l’appellativo “questo mondo” (1Cor 1,20-21; 3,19; 5,10; 7,31.33-34); la cui sapienza è stolta ( (1 Cor 1,20; 3,18; 8,13). L’eone cosmico in tal senso è caduco (1Cor 7,31). Ma il cosmo è anche creazione (ktìsis), mondo creato (At 17,24): di qui prende il via la visione paolina tutta cristocentrica del cosmo (Col 1,15-17): esso non è solo presupposto della salvezza, ma anche dimensione cristica di essa (Rm 11,33-36): “Dio è e opera in tutto, così che tutto ha in lui consistenza e da lui deriva “(R.Schnackenburg).[2] Di qui una serie di realtà (lavoro, fatica, impegno, cibo) traggono linfa vitale e concorrono all’opera di salvezza.
[ testo analitico] :
- Nel linguaggio biblico manca un termine equivalente: adotta piuttosto il termine di creazione col vocabolo greco ktisis (dal verbo ktizo: fondare, installare, costruire, creare), corrisponde all’ebraico bara’[3]
- Se per Gen il cosmo è un tutto armonisoso e ben ordinato, nella tradizione sacerdotale esso si arricchisce di altre coordinate, quali l’ordine, il tempo e la vita, tre grandi categorie teologiche. Orizzonte che si estende, per l’orante dei Salmi, ai segni del creato: tutta una creazione parla al samista dell’Onnipotente. Ma è al tempo stesso uno spazio ambiguo, di distanza e vicinanza rispetto a JHWH.
- La tradizione sapienziale si arricchisce sì ulteriormente con la riflessione midrascica, mettendo meglio in luce la funzione del cosmo rispetto alla storia del popolo di Israele.
- Altro non sinonimo ma omologo è il concetto di mondo: kosmos (dal verbo kosmeo, ordinare, sistemare) ed aion (secolo) connesso all’ebraico olam, tempo che dura, mondo spaziale, ove vivono gli uomini (Sap 9,9); ma anche ove si realizza la redenzione: Paolo e Giovanni hanno elaborato una loro teologia della salvezza del mondo: mettendo in luce una teologia non univoca di ‘mondo’. A causa del peccato, il mondo attuale è malvagio perché è caduto in potere del dio di questo secolo, il Malvagio, il Principe di questo mondo (1 Cor 2,6.-8; Gal 1,4; 4,3). Realtà ambigua, il mondo porta ancora la testimonianza del suo creatore (1 Cor 1,20; 2,12; 3,19; 2 Cor 7,10), ma si oppone a Dio… Ma Gesù, inviato da Dio che ama il mondo, ha salvato il mondo vincendolo. Il credente ha trionfato anche lui del mondo grazie alla sua fede (1 Cor 5,10); non è più di questo mondo e deve guardarsi dal Malvagio (Rm12,2). Così, splendente come un astro (Fil 2,15) egli impara il buon uso di questo mondo e coopera alla sua trasformazione (1 Cor 7,29-31).[4] Se mondo non ha per l’ebraico una sola parola, essendo kosmos tardivo nell’AT 8Sap e 2 Macc), nel NT è un termine cosmologico e teologico; Dio è creatore del cosmo (At 17,24), fatto per mezzo della Parola (Gv 1,10): il cosmo appartiene ai cristiani (1 Cor 3,22), mentre l’accentuazione della sua negatività è in Giovanni.[5]
- Ancora un omologo è universo: “a differenza dei greci che vedono nel Kosmos un insieme armonioso e chiuso in se stesso, intelleggibile all’uomo, anche lui un ‘micro-cosmo’, la Bibbia non concepisce l’universo al di fuori del suo rapporto col Creatore. Così essa ha usato piuttosto il termine kosmos per individuare l’insieme della creazione ( e Gv gli ha attribuito un valore negativo). La Bibbia per dire universo ha usato originariamente il binomio totalizzante ‘cielo e terra’ (Gn 1,1; 2,4 ecc.) che rimanda direttamente al creatore, o la formula ebraica più sommaria ‘il tutto’ (in greco ta panta in ebraico hakkol); vengono poi i termini terra abitata (greco oikumene) ed aion, tempo o durata.[6]
- Ma è nel NT che finalmente il cosmo è considerato secondo una prospettica cristologica e antropologica.
- Per Paolo kòsmos è l’universo, comprende tutte le cose: tà panta (Rm 11,36), e di esso fa parte la stessa umanità: identico il termine in Gal 3,22 ed in Rm 11,32 e perfino le pretese divinità (1 Cor 8,41). Senonchè, a differenza dell’armonia vista dal libro della Genesi, per Paolo il mondo ha perduto armonia ed equilibrio, ed è pertanto chiamato con l’appellativo “questo mondo” (1Cor 1,20-21; 3,19; 5,10; 7,31.33-34); la cui sapienza è stolta ( (1 Cor 1,20; 3,18; 8,13). L’eone cosmico in tal senso è caduco (1Cor 7,31). Ma il cosmo è anche creazione (ktìsis), mondo creato (At 17,24): di qui prende il via la visione paolina tutta cristocentrica del cosmo (Col 1,15-17): esso non è solo presupposto della salvezza, ma anche dimensione cristica di essa (Rm 11,33-36): “Dio è e opera in tutto, così che tutto ha in lui consistenza e da lui deriva “(R.Schnackenburg).[7]
- E la salvezza si opera qui: Gesù Cristo infatti è colui al quale Dio ha sottomesso ogni cosa (1 Cor 15,27). La salvezza cristica raggiunge l’uomo anche nella sua dimensione corporea (Rm 8,23). Dimensione ove si realizza la solidarietà tra corpo e cosmo (Rm 8,19-25)
- Così che se “si tratta letteralmente secondo la parola di san Paolo di una ‘nuova creazione’ (Gal 6,15; 2Cor 5,17)”[8], così per Teilhard Cristo è l’evento-soggetto che si colloca oggettivamente al centro della storia: divenendone il Redentore-Evolutore.
Corpo: in questo caso il riferimento di Paolo all’orizzonte semantico ebraico resta forte e sempre pervasivo; ma anche qui capace di operare un salto iperbolico captando dall’ellenismo la categoria ‘spirituale’ (1Cor 15,46) ed operando una inedita contaminazione nel concetto di ‘corpo spirituale’ , esteso dalla persona umana a quella del Kyrios fino a quella della figura ecclesiale. La corporeità di Cristo è pneumatica perché totalmente ancorata nella dipendenza da Dio e animata dal suo Spirito. La salvezza si opera qui: Gesù Cristo infatti è colui al quale Dio ha sottomesso ogni cosa (1 Cor 15,27). La salvezza cristica raggiunge l’uomo anche nella sua dimensione corporea (Rm 8,23). Dimensione ove si realizza la solidarietà tra corpo e cosmo (Rm 8,19-25).
Nella versione dei LXX soma, ma anche sarx (carne) sono gli equivalenti sdoppiati dell’ebraico basar. Se un’antitesi inizia ad affiorare, essa non è tra parte fisica ed interiorità (due componenti della creatura umana), bensì tra la creatura e Dio; l’accezione di corpo è in sé positiva, in se stesso buono[9]; ma la fonte definitiva per la comprensione del corpo diviene ora la cristologia, come messo in evidenza proprio da Paolo. In Gal e Rom la redenzione è infatti connessa all’assunzione della carne.“senza mettere in discussione la dignità del corpo, Paolo ne propone una teologia particolare. La carne, abitata dal peccato, ha reso schiavo il corpo…, ma il Cristo ha preso il corpo di carne ed è diventato il luogo ove si opera la riconciliazione. Il credente vede il suo corpo di peccato distrutto, egli viene spogliato di questo corpo carnale che va alla morte. Ormai egli può glorificare Dio nel suo corpo, offrire il suo corpo come culto vivente”. Incorporandoci a sé il Cristo fa dei nostri corpi il suo Corpo unico.[10]
- Il pensiero di Paolo nel periodo efesino è al riguardo chiaro: “il corpo soma è l’intera sua situazione, la sua totalità e personalità, non si riduce alla componente materiale dell’essere animato”; a fronte di ciò sta la permanente iniziativa di Dio “che rispetta l’identità del corpo”; i passi 1 Cor 15,42-44 “evocano un prima e un dopo ma non vi troviamo l’opposizione ellenica tra materialità e non materialità”; 4 punti ne chiariscono la dinamica (corruzione e schiavitù, miseria e gloria, debolezza e potenza, psichico e spirituale). In conclusione: “è il corpo che indica la continuità ed è su di esso che si esercitano le iniziative di Dio. Questa continuità corporale, somatica, è visualizzata come attuatesi attraverso una trasformazione profonda, radicale e definitiva dell’essere: la risurrezione…
- In sintesi: “la carne (del peccato) in Cristo è ridivenuta corpo, quindi possibilità che tutto, fino alle estreme propaggini della materia, sia da Dio, di Dio e per Dio”[11]
- Paolo mette in evidenza l’unità tra Cristo, corpo risorto e il corpo di Cristo composto da tutti i credenti. Il corpo rappresenta l’uomo nella sua possibile vicinanza con Dio… La cena rende possibile la crescita di questo corpo di Cristo; essa deve estendere i suoi effetti dando con maggiore abbondanza la vita che viene da Cristo riconciliato nella fede e deve distruggere tutto quanto potrebbe nuocere alla sviluppo dell’uomo nuovo…
[testo analitico] :
- corpo e per mezzo del suo corpo: nulla accade o esiste in lui che non trovi adeguata espressione negli organi e nei moti del suo corpo”.[12]
- Così nel NT: nel greco NT soma, ma anche sarx (carne) sono gli equivalenti sdoppiati dell’ebraico basar. Se un’antitesi inizia ad affiorare, essa non è tra parte fisica ed interiorità (due componenti della creatura umana), bensì tra la creatura e Dio. Altrettanto “la concezione di corpo è in sé positiva: il corpo è in se stesso buono”[13]; ma la fonte definitiva per la comprensione del corpo diviene ora la cristologia, come messo in evidenza proprio da Paolo. In Gal e Rom la redenzione è infatti connessa all’assunzione della carne.
- “senza mettere in discussione la dignità del corpo, Paolo ne propone una teologia particolare. La carne, abitata dal peccato, ha reso schiavo il corpo…, ma il Cristo ha preso il corpo di carne ed è diventato il luogo ove si opera la riconciliazione. Il credente vede il suo corpo di peccato distrutto, egli viene spogliato di questo corpo carnale che va alla morte. Ormai egli può glorificare Dio nel suo corpo, offrire il suo corpo come culto vivente”. Incorporandoci a sé il Cristo fa dei nostri corpi il suo Corpo unico.[14]
- Paolo “da un lato secondo la mentalità ellenistica ha rapportato i credenti come membra molteplici che il Cristo riconduce all’unità di un solo corpo”; dall’altro “considera ciascun cristiano come un membro del Cristo: questo era il modo di pensare semitico. Così Paolo sfocia alla concezione della Chiesa, corpo del Cristo, che raduna insieme giudei e pagani: la Chiesa esprime il Cristo man mano che procede nella sua crescita[15]
- Se in ebraico manca un termine esatto rispetto al soma, è solo in Paolo che il tema diventa un concetto psicologico e teologico importante: considerare gli antecedenti della concezione paolina (stoicismo, gnosticismo, esegesi specialmente rabbinica sul corpo cosmico di Adamo e la personalità corporativa dell’AT): ma nelle lettere paoline l’idea è in fondo originale, senza un antecedente unico e certamente non deriva dall’AT, che adatta e sviluppa.[16]
- “corpo di gloria”: secondo Paolo, la resurrezione di Gesù è causa della nostra resurrezione, conforme al corpo della sua gloria: “una esistenza incorporea è per lui come per qualsiasi giudeo incomprensibile”; viceversa egli vede un corpo “permeato e qualificato dallo Spirito vivificante”.[17]
- Il pensiero di Paolo nel periodo efesino è al riguardo chiaro: “il corpo soma è l’intera sua situazione, la sua totalità e personalità, non si riduce alla componente materiale dell’essere animato”; a fronte di ciò sta la permanente iniziativa di Dio “che rispetta l’identità del corpo”; i passi 1 Cor 15,42-44 “evocano un prima e un dopo ma non vi troviamo l’opposizione ellenica tra materialità e non materialità”; 4 punti ne chiariscono la dinamica (corruzione e schiavitù, miseria e gloria, debolezza e potenza, psichico e spirituale). In conclusione: “è il corpo che indica la continuità ed è su di esso che si esercitano le iniziative di Dio. Questa continuità corporale, somatica, è visualizzata come attuatesi attraverso una trasformazione profonda, radicale e definitiva dell’essere: la risurrezione…
- In sintesi: “la carne (del peccato) in Cristo è ridivenuta corpo, quindi possibilità che tutto, fino alle estreme propaggini della materia, sia da Dio, di Dio e per Dio”[18]
- Paolo mette in evidenza l’unità tra Cristo, corpo risorto e il corpo di Cristo composto da tutti i credenti. Il corpo rappresenta l’uomo nella sua possibile vicinanza con Dio… La cena rende possibile la crescita di questo corpo di Cristo; essa deve estendere i suoi effetti dando con maggiore abbondanza la vita che viene da Cristo riconciliato nella fede e deve distruggere tutto quanto potrebbe nuocere alla sviluppo dell’uomo nuovo… Ciò che Paolo dice del corpo di gloria è forse suggerito dal modo in cui egli ha visto il Signore”.[19]
- Dunque in 1Cor 15,46 Paolo adotta “l’espressione, ardita e incomprensibile nell’ambito delle categorie greche, di ‘corpo spirituale’. La corporeità di Cristo è pneumatica perché totalmente ancorata nella dipendenza da Dio e animata dal suo Spirito
- Gli intensi studi biblici recenti sul tema hanno come riferimento Paolo: soma non ha un preciso equivalente ebraico ben definito: “nella Bibbia soma qualifica l’inera persona umana, cogliendola nell’aspetto specifico della sua costituzione corporea”; ma divergenza sostanziale tra il punto di vista greco e quello semita: il primo ha un soma, l’altro è semplicemente soma!. Qui ha trovato spazio l’approfondimento specialmente dell’esegesi protestante (Mussner, Robinson)… Bultmann partendo da una interpretazione esistenziale del NT perviene ad una struttura ontologica di soma: “non potrebbe scomparire nemmeno con la morte, perché senza di esso l’uomo cesserebbe come tale”. Così Guttgemans introduce il tema del tempo, ma Kaseman sottolinea la concretezza paolina di soma che “recupera anche la realtà di morte corporea di Gesù e la realtà stessa dell’incarnazione”: “Dio rivendica la nostra corporeità perché non intende più lasciare il mondo a se stesso e nella nostra obbedienza corporea diventa manifesto che egli ha richiamato al proprio servizio il mondo in noi e con noi”.[20]
- Cuore : 35 occorrenze soltanto nelle fonti prime, che passano ad una cinquantina se si comprendono anche le altre della scuola paolina, ne confermano la rilevanza. Per Paolo coscienza (greco synèidesis, senza un corrispondente in ebraico) riflette la nozione biblica di cuore (Rm 2,14ss)[21]: negli scritti paolini è anche derivato dalla filosofia stoica[22].
- Il greco kardia evoca l’ebraico leb, luogo delle forze vitali[23]
- Proprio nella lettera ai Romani si evidenzia la centralità dell’ elemento kardìa. Rispetto all’intera storia di salvezza: tema affrontato in un volume teso a restituire base biblica, fondamento antropologico e piena dignità (oltre ogni riduttivismo devozionistico) al simbolo del cuore di Cristo, centrale per la fede cristiana, come fu per quella di Pierre Teilhard de Chardin.[24]
- Sì, questo tema del cuore-Kardìa sembra risuonare come una sinfonia senza fine: fin dagli esordi dell’AT [“l’uomo non vede quel che vede Dio: l’uomo, infatti, guarda all’apparenza, ma il Signore guarda al cuore”(1 Sam 16,7), quindi nel NT, come sottolinea il magistero di Benedetto XVI (Deus caritas est), l’intera storia della salvezza potrebbe essere ricondotta allo scambio interiore tra Dio ed il cuore umano. L’ha sottolineato nuovamente Benedetto XVI: “i Dodici, grazie all’amicizia che chiama in causa il cuore, hanno almeno capito nella sostanza e cominciato a conoscere che è Gesù. Anche oggi esiste questo modo di conoscenza: ci sono persone dotte che conoscono Gesù nei suoi molti dettagli e persone semplici che non hanno conoscenza di questi dettagli, ma lo hanno conosciuto nella sua verità: “il cuore parla al cuore”. E Paolo vuol dire essenzialmente di conoscere Gesù così, col cuore, e di conoscere in questo modo essenzialmente la persona nella sua verità; e poi, in un secondo momento, di conoscerne i dettagli (udienza generale 8 ottobre 2008).
OPZIONE PRIORITARIA: LA LETTERA AI ROMANI
Dovendo necessariamente optare per una pista in grado di ‘guidare’ la ricerca propostaci, a livello di approccio alle fonti, si è puntato direttamente a questo testo il quale, pur essendo anch’esso originato da problemi vitali della comunità in Roma e quindi confermando il consueto stile epistolare e non organico-sistematico, offre uno spaccato particolarmente ricco del pensiero di Paolo: “Tra tutte le lettere che costituiscono il ‘corpus’ paolino l’epistola è quella che meglio esprime ciò che si potrebbe chiamare la universalità o cattolicità di san Paolo” (S.Lyonnet)[25]. Quale testo migliore da comparare al gesuita che osò definirsi ‘ipercattolico’ ? Non solo: nell’epistola al Romani vengono configurate le principali tappe della storia della salvezza e dunque il testo risulta altrettanto capace di illuminare la poderosa ed alquanto ardita prospettiva storico-escatologica delineata da padre Teilhard: evidentemente supportabili soltanto dalla ricezione che la Tradizione cattolica (dai Padri fino ai Concili di Trento e Vaticano I) è stata in grado di assumere dal testo paolino (specialmente nell’interpretazione di Rm 7).
Se la vastità e la creatività del pensiero paolino non possono che riferirsi al contesto giudaico, anzitutto biblico a non solo (dal momento che anche la tradizione giudaica extracanonica insisteva e sottolineava forse meglio l’unità di questa storia della salvezza), anche Teilhard ne assorbe l’ampiezza del respiro: cogliendo appieno come “il segno di questa (nuova) alleanza non sarà scritto, come quello dell’alleanza con Abramo, sulla carne dell’uomo per mezzo della circoncisione, ma sull’universo stesso, come già nell’alleanza noachica” (Gn 9,12-13)(S.Lyonnet)[26]. Una condivisione di destino dunque traspare evidente tra cosmo, corpo, uomo: il destino della salvezza.
ALTRI ELEMENTI CHE SCATURISCONO DALLE FONTI SECONDE
Anche dagli scritti attribuiti alla cosiddetta ‘scuola di Paolo’ (deuteropaolini), emergono utili agganci rispetto alla presente ricerca, specie nelle ‘lettere della prigionia’, ove si ergono tre solenni testi assai congrui alla tematica esaminata:
- Col 1,15-20: nell’inno cristologico, Cristo è mediatore della creazione, riconciliatore di tutte le cose, la sua è una “Signoria cosmica”: “qualcosa di simile si trova nella raccolte degli inni di Qumran (hodayot)”(R.Fabris).[27] Abbiamo qui il primato di Cristo nella creazione (16-18°): “secondo l’antropologia ellenistica il Logos divino è il capo del corpo che è la realtà cosmica” (rapporto ripreso nel battesimo e nell’eucaristia). Nella riconciliazione e pacificazione (19-20) ecco il pleroma: pienezza della divinità: come in altri passi dell’AT versione LXX: Sal 23,1; 49,12; 72,19; 88,12; 95,11; 97,7; Is 6,3 e Ger 23,24. La matrice culturale è nella primitiva tradizione cristiana, che prolunga una lunga riflessione di carattere biblico-sapienziale (v. inni biblici alla sapienza: Pr 8,22-23; Sap 7,26, ma anche Ap 1,5); riconduce anche all’esegesi di tipo rabbinico di Gn 1,1 che stabilisce un’identificazione progressiva tra bereshit, sapienza, cristo; scrive in greco ma con canoni semitici.
- Ef 1,3-14: l’inno, assai affine agli berakot sinagogali ed agli inni giudaici (v.salmi trad. LXX e qumranici), appartenenti all’area semantica delle benedizioni (v. il benedictus di Lc 1,68-79), “un’eco delle fonti bibliche si riscontra nella raccolta degli inni di Qumran, dove alcuni testi iniziano con l’espressione ‘Benedetto sei tu Signore’ (cfr. ! QH X,14; XI, 22.33; XVI,8)”[28]; viene espresso un piano salvifico inteso “come disegno nascosto di Dio fatto conoscere, riferito ai testi di tradizione apocalittica (Dn 2,27-28; 1 Enoch 48,6-7; 51,3). Un’eco di questa concezione, che rivela contatti non solo con la tradizione apocalittica, ma anche con quella sapienziale si ritrova in alcuni testi di Qumran (! QpHab VII, 2,13-14; 1 QS XI,17-19)… Questo ruolo ecumenico di Cristo assume una dimensione cosmica, perché è posto in relazione sia con il piano salvifico di Dio (1,9-10). Su questo sfondo Gesù Cristo è presentato come il pantokrator cosmico, a partire però dal suo ambito di rivelazione storica che è la Chiesa, il suo corpo (1,22-23).[29] Di più detto disegno è concepito prima della creazione: così come “n ella concezione giudaica circa la preesistenza di alcune realtà spirituali (Torà, sapienza, messia). Ma solo nei testi rabbinici successivi si parla dell’elezione di Israele prima della creazione”.[30] Con l’annotazione poi che la filiazione adottiva (4-6) rimanda a una istituzione giuridica dell’ambiente greco-romano, ma anche alla prassi di comunità essene. Così come la comunicazione del mistero salvifico (Ef 9-10) “si riferisce a faza (LXX Dan 2,27-28) che corrisponde all’ebraico sod ricorrente nei testi di Qumran, dove designa il disegno nascosto di Dio, rivelato ai destinatari da lui prescelti”[31]. Infine: il termine “ricapitolare nel NT appare solo qui e in Rm 13,19, nel senso di riassumersi o concentrarsi… L’eredità e la redenzione finale (11-14) sono il culmine del piano salvifico di Dio nella sua dimensione cosmica e antropologica universale ecumenica, per ebrei e goym”(R.Fabris).[32] La cristologia paolina presente quindi la piena solidarietà umana di Gesù: l’immersione del Figlio di Dio nella condizione umana è espressa in modo radicale nel riferimento alle espressioni “nato da donna” e “carne di peccato”: condivisione dell’esistenza umana storica di Gesù che ha il suo acme nella croce.[33]
- Fil 2,6-11: ancora un inno cristologico, di origine prepaolina, dalla liturgia delle comunità giudeocristiana palestinese, forse in lingua aramaica, propone una sovraesaltaione della Signoria cosmica di Cristo, nuovo kosmokrator; “tutto il cosmo confessa” (11) riconnette a Col 2,6: Kyrios per antonomasia, vera intuizione cristologica e poetico liturgica della chiesa primitiva, ma in contrasto con la kenosi (7-8): si delinea un percorso più dinamico rispetto alle letture della Patristica che sottolineava il Verbo eterno preesistente e incarnato. In conclusione, la sua lettura “rende attenti a tutte le istanze del dialogo culturale ed interreligioso, che consentono di riformulare il ruolo cosmico di Gesù, ‘immagine di Dio’ e ‘primogenito di tutta la creazione’, e il suo ruolo di riconciliatore e pacificatore universale”(R.Fabris).[34]
Nelle ‘lettere pastorali’infine :
- 1 Tim: 2 frammenti innici forse liturgici; 3,16 mistero di pietà; 6,15-16 dossologia di Cristo
- 2 Tim: 1,9 vocazione alla santità e conoscenza della verità
- Tt: 2,13 e 3,17 compimento finale in Cristo come opera di Cristo
Nella lettera agli Ebrei, non paolina, ma di un anonimo predicatore del 1° secolo, forse giudeo-alessandrino) è collegabile al movimento di pensiero definito ‘scuola paolina’: sembra che il suo autore “abbia attinto molte delle sue tematiche dal giudaismo ellenistico di stampo sapienziale”, con evidenti contatti ed analogie con la letteratura qumranica.
ALTRE FONTI PER UN RAFFRONTO DEGLI SCRITTI DI TEILHARD CON LA TRADIZIONE CATTOLICA
Sarebbero altresì da prendere in esame anche altre fonti nella Tradizione, per primo Giovanni: ma la considerazione dell’opera giovannea -tanto differente da quella di Paolo sia per teologia che per approccio culturale- ci condurrebbe lontano. Così come si rivelerebbero pertinenti anche ad alcuni testi della patristica (anzitutto Massimo il confessore ed Ireneo di Lione, nonchè Origene) : anche in tal caso mostrando un Teilhard attento a quanto si stava muovendo nell’ambito della riflessione teologica ai primi del ‘900.
IL CENTRO CRISTICO: MISTERO SVELATO CHE SI FA IMPELLENTE MESSAGGIO DA TRASMETTERE
La stretta connessione di cosmo-corpo-cuore ha dunque portato alla luce una loro dipendenza vitale da un centro propulsore: il cosmo è anche creazione (ktìsis), mondo creato (At 17,24): di qui prende il via la visione paolina tutta cristocentrica del cosmo (Col 1,15-17): esso non è solo presupposto della salvezza, ma anche dimensione cristica di essa (Rm 11,33-36) (A.Bonora). “E’ stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo” (2Cor 5,19): quindi “si tratta letteralmente secondo la parola di san Paolo di una ‘nuova creazione’ (Gal 6,15; 2Cor 5,17)”(S.Lyonnet)[35]; così per Teilhard Cristo è l’evento-soggetto che si colloca oggettivamente al centro della storia: divenendone il Redentore-Evolutore. A Paolo-Saulo sulla via di Damasco, a padre Pierre sul fronte della prima guerra mondiale la centralità assoluta della figura di Cristo venne rivelato in momenti mistici, che subito innestarono nella loro persona l’esigenza irrefrenabile di manifestarla in ogni dove ed in ogni direzione: probabilmente aderendo alla medesima percezione della forza del “ Dio della speranza” e della “potenza dello Spirito Santo” (Rm 15,13).
LA SUBLIME CONVERGENZA EUCARISTICA
Al di là della distanza temporale, della fin troppo evidente lontananza culturale, nonché nonostante i linguaggi e le forme-pensiero appartenenti a paradigmi differenti, sembrano emergere singolari convergenze. Non appaia a questo punto azzardato rilevare come tra i testi paolini e quelli del padre Teilhard si raggiunga un crescendo di saldatura proprio sul tema eucaristico, per entrambi centro vivo e palpitante:
- Per la comprensione della visione paolina, occorre partire dall’attesa messianica giudaica e dal banchetto messianico (Is 2,1-5 la pace; Is 25,6-12 il banchetto) e di qui approdare alla nuova alleanza. L’apostolo delle genti usa il termine ‘corpo del Signore’ (to soma tu Christu) in due sensi: il corpo fisico in croce ed il senso figurato del banchetto: “il termine indica quindi in Paolo la realtà messianica che Cristo realizza nel mondo. Non senza ragione si traduce il soma tu Christu di Col 2,17 come ‘la realtà di Cristo’, la cui ombra già si intravede nel passato… La metafora del corpo, di origine filosofica extrabiblica ma conosciuta nel giudaismo post-biblico, serve a Paolo per definire in maniera molto concreta la realtà messianica creata dalla morte di Cristo e che si realizza nella celebrazione dell’eucaristia”(L.Dequeker-W.Zuidema)[36] .
- Partendo dalla formula ‘in Cristo’ delle lettere paoline (studiato da P. Benoit), si deduce che con la comunione questo unico corpo deve divenire ‘un solo corpo in Cristo’(Rm 12,5) e raggiungere ‘la misura perfetta della pienezza di Cristo’ (Ef 4,13)[37]. Paolo mette in evidenza l’unità tra Cristo, corpo risorto e il corpo di Cristo composto da tutti i credenti. Il corpo rappresenta l’uomo nella sua possibile vicinanza con Dio… La cena rende possibile la crescita di questo corpo di Cristo; essa deve estendere i suoi effetti dando con maggiore abbondanza la vita che viene da Cristo riconciliato nella fede e deve distruggere tutto quanto potrebbe nuocere alla sviluppo dell’uomo nuovo.
- Assonanze perfettamente allineate si colgono in innumerevoli passi di Teilhard (specie in Le Milieu Divin), ove si scorge la duplice dimensione eucaristica: sacrificale ed escatologica: “Offrite i vostri corpi come un sacrificio santo, gradito a Dio, come vostro culto spirituale” (Rm 12,1): in questa dipendenza apertamente cristologica la corporeità diviene la dimensione espressiva della creatura umana e dell’intera sua avventura planetaria; non positivisticamente intesa (nelle aporie della modernità) bensì declinate alla visio beatifica, propria del credente: può essere paragonata a un sacrificio profumato (Ef 5,2), che consente al gesuita di concepire la sua celebrazione cosmica (La Messa sul Mondo).
- “Questo crescere del corpo verso il suo capo, Cristo, si attua in modo salvifico anche per il cosmo, il quale nella Chiesa e con la Chiesa viene inserito nell’opera di redenzione e raggiunge il pleroma. Il luogo, in cui già ora si attua questo incontro tra Chiesa e cosmo, tra ordine della creazione e ordine della redenzione, è la celebrazione eucaristica. Così l’immagine paolina di corpo e di corpo di Cristo, con le sue implicazioni sociali, ecclesiali, cristologiche-soteriologiche e cosmologiche, trova certamente nei suoi fondamenti sacramentali-eucaristici un centro ordinatore che rende possibile un’interpretazione unitaria senza fratture interne”. Un processo in crescendo che poggia sulla unione reale con Cristo, propria del convito eucaristico, come fondamento della comunione sociale dell’unico corpo: “L’unico corpo in Cristo è un corpo informato dalla dynamis di Cristo; esso sta nel campo d’azione di Cristo; essere in Cristo è anche un essere nell’amore”; il primo luogo ove si realizza questa unione è il battesimo (Ef 4,3; Col 2,11), ma si estende poi all’unità cosmica del corpo di Cristo, che è disceso per riempire ogni cosa (Ef 1,10; 4,10): “Chiesa e cosmo non sono in nessun caso separati, ma correlativi. Il cosmo può giungere alla pienezza in Cristo per mezzo della Chiesa come, viceversa, la Chiesa ha raggiunto il suo vero pleroma solo quando ‘il cosmo materiale e immateriale è inglobato nella sua unità cattolica che abbraccia integralmente tutto’ (W.Warnach)”. Sì la Chiesa è consecratio mundi: “ Il punto di partenza teologico potrebbe essere il carattere simbolico-reale del sacramento. Nel simbolo del pane -che è un elemento cosmico- il divino assume per così dire un corpo, Dio entra fondamentalmente nel mondo… Sotto questo aspetto, ciò che è terrestre è stato assunto attraverso il mistero di Cristo nella nuova pienezza di realtà di Cristo e mediante il ministero della chiesa nel campo della redenzione”(J.Ernst)[38]. Sembra sovrapponibile a questa visione paolina il ‘cono evolutivo’ disegnato da Teilhard, che pone la Chiesa quale philum centrale dell’evoluzione terrestre.
IL DINAMISMO VITALE NELLA CHIESA CORPO DI CRISTO
Anche sul piano esistenziale l’apostolo e padre Teilhard hanno vissuto vicende in qualche modo analoghe, offrendo la propria vita al “sacrificio profumato” (Ef 5,2): come risulta per Paolo nei numerosi passi delle sue lettere a carattere autobiografico (cfr. 2Cor 2,14-17), così pure per padre Teilhard nel vastissimo epistolario, in grandissima parte destinato a persone di fede. Ed il tema della croce è per entrambi centrale: per Paolo la Croce è ‘Follia’ ma; per Teilhard è “la via dell’evoluzione storica”; come è stato osservato “alla luce della croce è l’analogia fidei l’ultima chiave ermeneutica per decifrare il linguaggio più autentico del corpo…la corporeità è il segno manifestativo primario, ma sta sotto l’ermeneutica della croce”[39](R.Cavedo). Ed il valore soteriologico della resurrezione di Cristo è per entrambi fuori discussione, anzi l’assioma che tutto sostiene (Rm 4,25)!
Le sofferenze e le prove entrambi le hanno metabolizzate, assumendole nella loro carne quale offerta al Cristo crocifisso: tutto soffrendo in Cristo, nell’obbedienza a Lui e nella fedeltà alla Chiesa, oltre le incomprensioni subìte. Entrambi vissero il deserto: i primi tre anni in Arabia per il nuovo Saulo; gli anni di esilio forzato in Cina per il gesuita. Analogamente hanno poi cercato di comunicarle operando ciascuno una ‘fuoriuscita’ dal proprio ambito semantico: il primo dall’universo giudaico per estenderlo a quello della koinè ellenistica, il secondo dalla disciplina scientifica per ampliarlo alla ricerca umana; anche operando forzature ed inedite idiomatiche. Ne basti una soltanto, diversa ma al tempo stesso coincidente: ricapitolazione in Paolo, cristificazione in Teilhard). Per ambedue il tema della libertà diviene costitutivo della sfera umano-salvifica: nel primo caso è liberazione dalla dipendenza della Legge (2Cor 3,2-3) e “dal dominio dal dio di questo mondo”(2Cor 4,4), nel secondo, emancipazione dal determinismo della materia. Per ambedue il cristiano ha ricevuto la libertà da Cristo di essere-diventare se stesso nel corpo e nello spirito !, superando ogni negatività (cfr. Ef 1,23). E quindi connesso alla libertà l’irrinunciabile concetto di persona: lungi da visioni gnostiche o panteistiche indebitamente attribuite: entro una visione escatologica che insiste sulla salvezza globale, viene assicurata l’Integralità e l’intangibilità della persona umana, destinataria principale ultima ed irriducibile del disegno di salvezza.
Ecco il ruolo esigente per i cristiani, che Paolo chiamava “gli amici di Dio”, “i chiamati”, “i santi” (Rm 1,7); e che Teilhard considera, nonostante le debolezze e le insufficienze che denuncia, il nucleo più vitale per l’avvenire (la Chiesa quale asse dell’evoluzione umana). Ed entrambi guardano secondo la medesima ottica universalistica: il problema per ambedue è la salvezza del genere umano tutto intero! L’ottica che pervade il loro pensiero è che la giustizia di Dio operi nella storia secondo la misericordia, infondendo nei cuori non il timore, come riteneva il giovane Lutero, ma la speranza[40]! Una visione dinamica della rivelazione che compie il cammino umano e riempie di significato e di positività ogni azione ed opera di giustizia, restituendo al cristiano piena dignità per l’impegno storico (Col 1,10) e facendo “assumere al lavoro dell’uomo un valore di eternità” (S.Lyonnet).
Se per Paolo l’agorà furono le città visitate, dichiarandosi ‘pazzo per Cristo’, per padre Pierre essa furono gli ambienti accademici, la comunità scientifica in via di formazione, fino a preconizzare la rete invisibile (telecomunicazioni satellitari e virtuali), segno eloquente della ‘noosfera’ da lui preconizzata come effetto della planetizzazione in corso. Così, le due metamorfosi spirituali: l’uno ha trasfigurato nel Corpo del Signore il corpo spirituale della Chiesa; l’altro ha intuito la presenza operante dell’energia cristica nel corpo della terra, consacrato quale ‘Ostia totale’, segno della manifestazione (diafanìa) del Cuore di Cristo: “Niente può sussistere fuori della tua carne o Gesù” (La Messa sul Mondo). Tutti aspetti colti nel magistero di Giovanni Paolo II (Dono e Mistero, Ecclesia de eucaristia, Mane nobiscum domine).
Potremmo quindi, col grande Henry De Lubac, concludere sottolineando -ancora una volta- non solo la piena conformità del padre Teilhard all’insegnamento della chiesa, ma anzi cogliendone come si manifesti in modo sempre più evidente quale congeniale alla nuova comprensione scientifica del mondo e quindi capace di ricondurre la vita odierna al centro cristico che la sostiene e la attira a sé, proprio in linea con la visione paolina: cogliere tutto il buono del mondo (1Tm 4,4; Fil 4,8), facendo tutto per la gloria di Dio (1Cor 10,31), senza piegarsi alla perversità del mondo ( Gal 1,4), non conformandosi alla mentalità del mondo (Rm12,2); opera difficile, ma possibile avendo “la mente di Cristo” (1Cor 2,16), trasfigurando la propria vita (1Cor 7,29-31), mediante la conversione/metanoia, cioè il rinnovamento del cuore, diventando creature nuove. Ecco il nuovo stato di coscienza auspicato da Teilhard per l’uomo moderno capace di tante conquiste, che egli indica nel suo saggio La via alla felicità !
E tutto questo grazie alla potenza dello Spirito Santo, vero agente per il riscatto del corpo (Rm 8,23) ed anche del mondo materiale: azione che -in una sublime visione trinitaria che sembra richiamare quella profetica (Is 65,17)- Teilhard chiama la trinitizzazione e la amorizzazione del mondo! In una finalizzazione che osa definire ‘cristogenesi’, ancora sulle orme dello stesso apostolo, poichè: “Tutto è vostro, e Paolo, e Apollo, e Cefa, e il mondo, e la vita, e la morte, e il presente, e il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1Cor 3,22-23).
Visioni tutte riassunte nelle sintesi operate dal Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium (chiesa sacramento di salvezza) ed in quella pastorale Gaudium et spes (chiesa al fianco del mondo), nell’analogia musicale proposta da J. Ratzinger secondo cui la Chiesa riesce a far risuonare le sue molteplici note e risonanze come un organo ben registrato: a conferma di una lettura del te parateke paolino, più come eredità creativa, diateke, che non come deposito giuridico, quindi come tradizione aperta alla fecondità dinamica spirituale sempre aperta ai cambiamenti dettati dallo Spirito, verità (aletheya), fede (pistis) e amore (agape).
Come l’apostolo meritò l’appellativo di ‘araldo delle genti’[per il kerigma, in primis], così padre Teilhard è stato definito come ‘l’araldo del terzo millennio’[41] per il suo unico scopo di vivere e convergere tutti per Cristo, con Cristo ed in Cristo: “Io no saprò mai predicare che il mistero della tua Carne o Anima che trasparisci in tutto ciò che ci avvolge !”(La Messa sul Mondo).
Luciano Benoni Mazzoni
Titoli accademici acquisiti presso le Università di Bologna, Urbino, Pontificia della Santa Croce.
Pubblicazioni: Un alleluja in eredità, La soglia, Liturgia cosmica, Dialoghi sul frammento, Saggezza della Parola, La luce del Cuore:antropologia e mistagogia del cuore di Cristo centro e orizzonte della vita cristiana.
Collabora con l’Università di Parma e l’Istituto Teologico di Parma.
[1] P.CODA, Il logos e il nulla, Città Nuova, Roma
[2] A.BONORA voce Cosmo in Nuovo Diz.d i Teol Bibl, , pp. 334-335
[3] Cfr. LEON-DUFOUR X., Dizionario del NT, Queriniana Brescia 1978, p. 191
[4] Cfr. ibidem, p. 368
[5] Cfr. Mc KENZIE J., voce mondo in Dizionario Biblico……, p. 630 e seg.
[6] Cfr. ibidem, p. 539
[7] A.BONORA voce Cosmo in Nuovo Diz. di Teol Bibl, , cit, pp. 334-335
[8] S.LYONNET, La storia della salvezza nella lettera ai Romani, ed.M.D’Auria, Napoli,1966, p.11.
[9] Ibidem, p. 312
[10] X.LEON-DUFOUR, , p. 187
[11] R.CAVEDO, voce Corporeità in Nuovo Diz. Di Teol. Bibl, ed. S.Paolo, , p.321
[12] Cfr. CAVEDO R., voce Corporeità, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica (a c. di ROSSANO P., RAVASI G., GIRLANDA A.), ed. S.Paolo, Cinisello B. (Mi) 1988, pp. 308-321
[13] Ibidem, p. 312
[14] X.LEON-DUFOUR, p. 187
[15] Ibidem, 189
[16] Cfr. Mc KENZIE J., voce Corpo in Dizionario Biblico….’, p. 200 e seg.
[17] KREMER J., Paolo: la risurrezione di Gesù, causa e modello della nostra resurrezione, Concilium 10/1970, pp. 102-116
[18] R.CAVEDO, voce Corporeità in Nuovo Diz. di Teol. Bibl, ed. S.Paolo, , p.321
[19] CARREZ M., Con quale corpo risuscitano i morti ?, Concilium 10/1970, pp. 117-130
[20] GNILKA J., La risurrezione del corpo nella controversia esegetica contemporanea, Concilium 10/1970, pp. 161-177
[21] Cfr voce Coscienza in LEON-DUFOUR X, op.cit., pp. 189-190
[22] Mc KENZIE J.,voce coscienza in Dizionario Biblico (trad. it. di MAGGIONI B.), ed. Cittadella Assisi 1973, p. 204
[23] Cfr. voce cuore in ibidem, p. 199
[24] Cfr. L.BENONI MAZZONI, La luce del cuore: antropologia e mistagogia del Cuore di Cristo, centro e orizzonte della vita cristiana, ed. AdP, Roma 2008
[25] S.LYONNET, P.1
[26] Cfr. S.LYIONETTE, pp. 221-228 .
[27] FABRIS R., p. 499
[28] FABRIS R., p. 516
[29] Ibidem, p. 513
[30] Ibidem, p. 517
[31] Ibidem, p. 520
[32] Ibidem, p. 521
[33] Ibidem, pp. 590-91
[34] Ibidem, p. 509
[35] S.LYONNET, La storia della salvezza nella lettera ai Romani, ed.M.D’Auria, Napoli,1966, p.11.
[36] Cfr. DEQUEKER L. – ZUIDEMA W., L’eucaristia secondo san Paolo (1 Cor 11,17-34), Concilium 10 /1968, pp. 59-69
[37] Cfr. BENOIT P., Corpo capo e pleroma nelle lettere della prigionia: esegesi e teologia, ed. paoline Roma 1964, pp. 399-460
[38] Cfr. ERNST J., Il significato del corpo eucaristico di Cristo per l’unità di chiesa e cosmo, Concilium 10/1968, pp. 116-127
[39] R.CAVEDO, cit. p. 317
[40] Cfr. S. LYONNET, p. 49
[41] Cfr…………..